L’aspetto sicuramente più rassicurante contenuto nella comunicazione dello scorso 15 maggio della banca centrale italiana con la quale ha annunciato l’aumento delle risorse destinate alle imprese con le migliori prassi ambientali, sociali e di governance, cioè i fattori ESG, è l’esclusione dall’universo investibile di quelle società che operano prevalentemente in settori ad alto rischio, quali tabacco, armi nucleari, chimiche o biologiche, dunque le società non conformi ai principi dell’UN Global Compact.
Questa svolta sostenibile è stata presa sulla scorta della convinzione che “condotte aziendali inappropriate possono generare costi e rischi non solo per le singole imprese ma per il sistema economico nel suo insieme e riflettersi, talora anche nel breve periodo, sulla stabilità finanziaria e sulla crescita economica. Viceversa – prosegue Banca d’Italia nella nota – le imprese attente ai fattori ESG sono generalmente meno esposte a rischi operativi, legali e reputazionali, e sono più orientate all’innovazione e all’efficienza nell’allocazione delle risorse come confermato da un’ampia letteratura e da studi empirici; per questo motivo sono valutate come più interessanti dagli investitori e beneficiano di un minore costo del capitale”.
A riprova di quanto sostenuto sino ad ora nella nota viene citata un’attività di attenta analisi di circa 200 studi empirici condotta nel 2015 da Clark, Feiner e Viehs che evidenzia che le “buone pratiche” sotto il profilo ESG permettono alle imprese di beneficiare di vantaggi competitivi, minori costi del capitale e migliori performance operative e di mercato
A riprova di quanto sostenuto sino ad ora nella nota viene citata un’attività di attenta analisi di circa 200 studi empirici condotta nel 2015 da Clark, Feiner e Viehs che evidenzia che le “buone pratiche” sotto il profilo ESG permettono alle imprese di beneficiare di vantaggi competitivi, minori costi del capitale e migliori performance operative e di mercato. A titolo di ulteriore fonte viene citata anche l’analisi, condotta da Friede, Busch e Bassen sempre nel 2015, che ha preso in considerazione circa 2.200 ricerche accademiche dedicate alla relazione tra performance di mercato delle imprese quotate e pratiche sui temi ESG concludendo che nella maggior parte dei casi il contributo delle “buone pratiche” è positivo e stabile nel tempo.
L’effetto sui portafogli azionari sarà di migliorare la propria impronta ambientale in termini di emissioni totali di gas serra (-23% circa, pari a -0,76 milioni di tonnellate), di consumo di energia (-30% circa, equivalenti a 7,67 milioni di giga joule) e di consumo di acqua (-17% circa, pari a 6,95 milioni di metri cubi).
Uno sforzo sicuramente importante a cui bisognerà aggiungere anche quello a mio parere tutt’altro che secondario di assumersi il ruolo di agente per l’orientamento dell’intero mondo finanziario, verso una sempre maggiore sensibilità, consapevolezza e adozione di obiettivi socialmente responsabili.
Concordo tuttavia con Vitaliano D’Angerio (Il Sole 24 Ore, 16.05.2019) nel chiedere di dare maggiore risalto agli aspetti sociali e di governance (i fattori S e G) che devono godere della stessa rilevanza del fattore E di Environment.
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