Politici ed economisti non vanno d’accordo. I leader promettono miracoli economici ma non si preoccupano delle conseguenze delle loro scelte. Gli economisti fanno il contrario: guardano solo alle conseguenze economiche senza capire il motivo per cui i politici promettono quelle cose. E allora la Bank of England critica la Brexit, Bankitalia e Bce criticano i minibot e mettono in guardia su una possibile Italexit, i premi Nobel statunitensi criticano lo shock fiscale di Trump. Ma i politici continuano imperterriti a proporre ricette, forse non sostenibili nel lungo periodo, ma di sicuro giuste per aumentare il consenso. Tanto il problema lo risolverà il nuovo arrivato, sempre che non prometta altre ricette della felicità. Flat tax, minibot, shock fiscale, reddito di cittadinanza: «È l’economia, stupido», ricordava il consigliere politico di Bill Clinton ai volontari democratici durante la campagna elettorale del 1992. Tutto il consenso gira intorno alla promessa di migliorare la condizione economica delle persone. Però secondo Lorenzo Forni professore di economia dell’Università di Padova che ha lavorato in Banca d’Italia e al Fondo Monetario Internazionale, ogni promessa è debito. E per ricordarlo ha scritto il libro “Nessun pasto è gratis” pubblicato da “Il Mulino“. Quando lo intervistiamo è appena atterrato dagli Stati Uniti.
Forni, Trump accusa il presidente della Banca centrale Mario Draghi di fare concorrenza sleale promettere tassi bassi nell’eurozona. Ha ragione?
È il classico conflitto tra politica ed economia. L’economista Draghi ha fatto quello che un tecnico deve fare: sostenere in un momento di potenziale rallentamento l’eurozona. Trump fa quello che fanno i politici: trovare un capro espiatorio. Ha attaccato in modo mediaticamente vincente Draghi per scaricare su di lui la responsabilità di eventuali mancanze e fallimenti dell’amministrazione americana. La politica monetaria più espansiva della Bce in modo implicito deprezza l’euro più di quanto Trump vorrebbe.
Trump avrà qualche ragione
Il dollaro si apprezza rispetto all’euro. I beni prodotti dai Paesi dell’eurozona diventano più convenienti e quindi gli statunitensi ne importano di più. Questo crea problemi al disavanzo commerciale degli Usa, un pallino di Trump. Ma mi lasci chiarire una cosa.
Prego.
Draghi sta rispettando la prassi consolidata a livello internazionale. Ogni banca centrale cerca di fare politiche monetarie con obiettivi di politica economica domestica e lascia fluttuare il cambio. Anche Draghi lo ha chiarito. La Bce non è intervenuta sul mercato dei cambi, sta semplicemente facendo la politica monetaria che ritiene più adeguata domesticamente.
Perché politici ed economisti non vanno d’accordo?
Ci si deve prima chiedere perché c’è discussione tra politici ed economisti. Non è normale e non è sempre stato così. O hanno ragione gli uni o gli altri. È difficile per l’opinione pubblica orientarsi perché manca il confronto. Ci vorrebbe un Council of Economic Advisors, come negli Stati Uniti. Anche se Trump non lo usa molto.
Trump non è l’unico che fatica a rispettare i vincoli di bilancio.
In questa fase di grande incertezza economica le domande degli elettori sono forti, hanno bisogno di sentirsi protetti. Secondo me la politica risponde in modo sbagliato, promettendo elargizioni, che rischiano spesso di essere insostenibili nel medio e lungo periodo.
Trump non rispetta le indicazioni dei Nobel all’economia, ha fatto uno shock fiscale inutile e ha aumentato dazi, ma comunque il Pil Usa nel primo trimestre del 2019 è aumentato del 3.2%. Come se lo spiega?
Il Pil Usa cresce per due ragioni. A cavallo tra il 2017 e 2018 Trump ha fatto un’espansione fiscale tramite il taglio delle tasse e l’aumento delle spese che ha incrementato il disavanzo americano. Ora oscilla oltre il 4 cento del Pil all’anno. Ma non ce n’era bisogno. Il suo è uno stimolo inutile perché l’economia cresceva già a un buon ritmo.
Cosa succederà all’economia americana?
Di solito l’economia si surriscalda, la disoccupazione scende, i salari salgono, i prezzi salgono. La Banca centrale interviene per contenere l’inflazione. E il rischio è che con una manovra del genere l’inflazione sia maggiore rispetto a quella che ci sarebbe stata senza questo inutile shock. Ma Trump ha una fortuna.
Quale?
I salari crescono ma per varie ragioni l’aumento non si sta trasferendo sui prezzi. C’è una grossa pressione al ribasso sui prezzi che deriva da fattori transitori. Come per esempio la componente estera e alcune revisioni delle statistiche sull’inflazione americana. Anche se non si scontra contro il muro dell’inflazione, Trump sta andando contro il muro del disavanzo fiscale. Il debito è aumentato molto.
Gli Stati Uniti se lo possono permettere.
Sì, possono permettersi una politica imprudente per qualche anno. Ma un problema per l’economia Usa sarà anche la politica dei dazi che stanno già creando rallentamenti nel commercio internazionale. Trump è preoccupato perché ci solo le presidenziali nel 2020 e teme un rallentamento nell’economia americana. I costi veri di questa confusione internazionale li vedremo nel tempo. Se questo atteggiamento protezionista continuerà avremo un sistema commerciale più frammentato, locale e chiuso.
Trump fa quello che fanno i politici: trovare un capro espiatorio. Ha attaccato in modo mediaticamente vincente Draghi per scaricare su di lui la colpa di eventuali mancanze e fallimenti dell’amministrazione americana. La politica monetaria più espansiva della Bce in modo implicito deprezza l’euro più di quanto Trump vorrebbe
Il leader della Lega Matteo Salvini giustifica la flat tax dicendo che con lo shock fiscale Trump ha fatto ripartire gli Usa. Ne abbiamo veramente bisogno? E soprattutto: ce la possiamo permettere?
C’è un problema di eccesso di tassazione in Italia. Al momento non c’è un progetto ben definito di flat tax. Non sappiamo com’è pensata e quali sarebbero i costi. Ma la flat tax è una tassa che per sua natura tende a ridurre la progressività del sistema fiscale e può creare un costo per il bilancio. Se non viene finanziato con altre tasse, il che non avrebbe senso, o con tagli di spesa, troppo complesso, deve essere finanziato con il debito. Bisogna capire se l’Italia può sostenere un livello di dbito più elevato.Qual è il livello di debito che l’Italia può sostenere?
Non c’è un numero preciso: lo Stato italiano finanzia il debito a tassi dell 2,5-3% quando la Spagna lo fa sotto l’1%. È evidente che c’è un problema. L’Italia emette sul mercato 380 miliardi di euro di titoli all’anno sia per rifinanziare quelli in scadenza, sia per finanziare una parte del disavanzo, circa 40 miliardi. Quando uno deve rinnovare tanti titoli e la base di investitori è variegata e soprattutto volubile, soprattutto se qualche shock come una recessione internazionale dovesse colpire l’economia, è evidente che non possiamo far salire il debito. Sarebbe insostenibile. Chi ci deve mettere i soldi si preoccuperebbe. E un terzo del nostro debito è detenuto da investitori esteri.L’ipotesi dei minibot, non rassicura gli investitori esteri.
Non abbiamo bisogno dei minibot. Il modo più naturale di pagare i debiti arretrati della Pubblica amministrazione è di emettere bot normali e dare euro ai fornitori in credito con lo Stato. Quando non si sceglie questa strada sorge il dubbio del perché se ne scelgano altre. Si cercano strade alternative, e anche senza arrivare all’ipotesi di voler uscire dall’euro, sorge il dubbio che nonsi voglia fare emergere nel debito pubblico questi crediti. Per tenerli sottotraccia. Ma è un altro modo poco trasparente che ha le gambe corte. Siccome la credibilità in economia è tutto, rischiamo di bruciarci la nostra per non raggiungere nessun risultato.Qual è il rischio principale dei minibot?
Il rischio è che a 5 euro di minibot non corrispondano 5 euro reali. Non si sa esattamente la natura di questi minibot, non si capisce quando e per quanto tempo sarebbe possibile usarli per pagare le tasse.E allora probabilmente nessuno sarebbe disposto a scambiare 100 euro per 100 euro di minibot , ma una cifra inferiore. I fornitori della Pubblica amministrazione si troverebbero minibot con uno sconto rispetto al credito che hanno verso lo Stato. Sarebbe come imporre un costo su di loro. Perché farlo? Oltre alla perdita di credibilità legata al fatto che un titolo emesso dal Tesoro italiano verrebbe scambiato ad un prezzo inferiore al valore facciale.Anche la procedura di infrazione non aiuterebbe i nostri conti.
Nessuno vuole la procedura d’infrazione. Non la vuole l’Europa né il Governo. Se ci si dovesse arrivare sarebbe un errore tecnico di dialogo. Può succedere, guardi la Brexit. Ma c’è l’intenzione di tutti di non avviarla per non rischiare di creare una crisi dell’eurozona. L’Italia è fragile sulle finanze pubbliche ma forte nei fondamentali. Ci additano come il malato d’Europa, ma il sistema Paese sta reggendo. Stiamo stagnando ma non crollando. Dal 2014 le banche e le imprese si sono rafforzate, il conto con l’estero è migliorato. Siamo un Paese con una base produttiva solida ma siamo fermi e non cresciamo.Ammettiamo che uno shock internazionale o una recessione improvvisa ci facesse crollare. Cosa succederebbe in caso di default?
Quando il vincolo di bilancio non viene rispettato per un periodo protratto: prima o poi si va in una crisi economica e di solito la pagano sempre i ceti più deboli. La ristrutturazione del debito non è una soluzione. Porterebbe enormi costi. Poi non è mai una decisione unilaterale, bisogna trovare un accordo con i creditori. Guardate la Grecia: nonostante la ristrutturazione il debito pubblico è ancora al 180%. Non bisogna giocare con queste cose.Cosa farebbe se lei fosse ministro dell’Economia?
Quasi tutti gli economisti concordano nella necessità di rilanciare la crescita. Ma per farlo bisogna ridurre l’incertezza legata al debito pubblico. Ci vorrebbe un piano fiscale di medio termine in cui l’Italia si ponesse come obiettivo quello di raggiungere in 20 anni un debito intorno al 90% del Pil. È fattibile. Se questo piano fosse credibile potrebbe essere supportato dai partner europei. Si ridurrebbe così lo spread e ci sarebbe un tesoretto per sostenere alcune riforme necessarie. Ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro, migliorare l’efficienza del mercato del lavoro e aiutare le imprese a crescere. Bisogna anche ragionare su un New Deal europeo per favorire la mobilità del lavoro a livello europeo e contribuire così a ridurre il tasso di disoccupazione in alcune aree e anche coordinare una serie di investimenti strategici all’interno di un piano industriale europeo.Perché Quota 100 e reddito di cittadinanza non hanno funzionato?
Sono stati fatti in disavanzo di bilancio e hanno creato incertezza sulla sostenibilità del debito, causando l’aumento dello spread. Queste due riforme non sono state inserite in un progetto più ampio di rilancio del Paese. Sono misure abbastanza circoscritte, non danno fiducia, non indicano una strada. Il reddito risponde a un’esigenza condivisibile ma la sua implementazione pratica ha ampi margini di miglioramento. Poi non è chiaro perché non si poteva potenziare il reddito di inclusione (Rei) che era già attivo, per di più dopo una lunga fase di gestazione.