Un’indagine condotta dal Pew Research Center tra il 29 aprile e il 13 maggio di quest’anno mostra che per l’85% degli americani il dibattito politico è peggiorato, in particolare è diventato meno rispettoso (85%), meno basato sui fatti (76%), meno focalizzato sui temi (60%) e meno piacevole (46%). Per più della metà del campione (55%) il presidente americano ha contribuito in peggio alla natura e al tono del dibattito pubblico. Preoccupazione, confusione, imbarazzo, esasperazione, rabbia e offesa sono gli stati d’animo provocati dalle dichiarazioni dell’attuale inquilino della Casa Bianca per percentuali del campione intervistato ben superiori al 50%. Se poi si distingue tra elettori repubblicani e democratici, tra questi ultimi i numeri salgono ancora di più. Ad esempio, più di nove democratici su dieci si sentono preoccupati quando leggono o ascoltano dichiarazioni di Trump. Lo studio del Pew Research Center è quanto mai attuale viste le ultime affermazioni del presidente americano.
Lo scorso 14 luglio Trump ha infatti twittato «Davvero interessante vedere donne progressiste democratiche del Congresso che originariamente provengono da Paesi i cui governi sono una completa e totale catastrofe, i peggiori, i più corrotti, inefficienti del mondo (se addirittura hanno un governo funzionante) dire ad alta voce e in maniera veemente alle persone degli Stati Uniti, la più grande e potente Nazione sulla terra, come dovrebbe essere condotto il nostro governo. Perché non se ne tornano e aiutano a sistemare i posti non rispettosi della legge e infestati dal crimine da cui sono venute. Poi tornano e ci dicono come hanno fatto. Questi posti hanno un disperato bisogno del vostro aiuto, non potete lasciarli abbastanza velocemente. Sono certo che Nancy Pelosi sarebbe molto felice di provvedere velocemente e in modo gratuito al viaggio!»-
Pur non essendo stati fatti nomi, molti hanno individuato le donne a cui si fa riferimento nei tweet: Ilhan Omar, Rashida Tlaib, Ayanna Pressley e Alexandria Ocasio-Cortez. In sostanza, le quattro sono state provocatoriamente invitate a tornare nei loro Paesi di origine invece di criticare l’attuale amministrazione. Ilhan Omar, eletta per il Minnesota, è l’unica non nata negli Usa, ma a Mogadiscio, è arrivata negli Stati Uniti a 14 anni nel 1995 come rifugiata, è la prima donna di origini somale eletta al Congresso Usa ed è musulmana come Rashida Tlaib, che siede nella Camera dei Rappresentanti per il Michigan. Ayanna Pressley è, invece, la prima donna di colore proveniente dal Massachusetts, mentre Alexandria Ocasio-Cortez, dal Bronx, è la più giovane eletta al Congresso. Oltre la sprezzante affermazione, Trump, con la chiosa finale, ha volutamente evidenziato i rapporti tra la Speaker della Camera dei Rappresentanti e le quattro, rapporti non proprio idilliaci per ragioni tanto generazionali quanto ideologiche.
Quando Donald Trump dice alle quattro donne del Congresso di ritornare nei loro Paesi, conferma che il suo piano “rendi l’America di nuovo grande” ha sempre riguardato il rendere l’America di nuovo bianca
Come riporta Vox, tuttavia Nancy Pelosi ha risposto su Twitter: «Quando Donald Trump dice alle quattro donne del Congresso di ritornare nei loro Paesi, conferma che il suo piano “rendi l’America di nuovo grande” ha sempre riguardato il rendere l’America di nuovo bianca». Molti esponenti democratici, compresi i candidati per la Casa Bianca, hanno stigmatizzato l’episodio definendolo razzista. Il presidente americano, dal canto suo, non solo è tornato di nuovo sull’argomento via Twitter, innescando un botta e risposta con Pelosi e le dirette interessate, ma la settimana scorsa durante un comizio in North Carolina, ha criticato Ilhan Omar con la folla che intanto urlava «Rimandala indietro». La Camera dei Rappresentanti ha addirittura discusso e approvato una risoluzione che definisce razzisti i tweet presidenziali. Pur non avendo effetti concreti, l’atto è stato approvato, anche con il voto di quattro esponenti del partito repubblicano.
Domenica scorsa, tuttavia, il presidente americano ha affidato ancora una volta al social dai 280 caratteri l’ultima sua sprezzante dichiarazione: «Non credo che le quattro donne del Congresso siano in grado di amare il nostro Paese. Dovrebbero scusarsi con l’America (e Israele) per le cose orribili (odiose) che hanno detto. Stanno distruggendo il Partito Democratico, ma sono persone deboli e insicure che non potranno mai distruggere la nostra grande Nazione!». Individuare un avversario rappresenta una delle caratteristiche di base delle dinamiche politiche ma cosa spinge Trump a condurre questo feroce attacco? George Lakoff in passato ha spiegato che i social media sono usati per controllare l’agenda mediatica e spesso ciò che viene veicolato ha un carattere più tattico che sostanziale. Rispetto all’episodio riportato, lo scopo potrebbe dunque essere da un lato quello di gettare il dubbio su determinati soggetti, in questo caso le quattro esponenti del Congresso, per minare la fiducia nei loro confronti. Dall’altro, quello di distogliere l’attenzione da altri temi. Quali? Quelli puntualmente ricordati da Alexandria Ocasio-Cortez su Twitter, assistenza sanitaria, eliminazione del debito agli studenti, tutela ambientale, salari e diritti umani, ovvero le battaglie politiche che stanno cercando di portare avanti.
Tuttavia c’è anche chi pensa che le sue provocazioni non siano strategiche ma sostanziali e che si voglia realmente veicolare un messaggio legato alla razza e al colore della pelle. Il Pew Research Center aveva stimato che per il 62% degli americani l’apertura alle altre nazionalità e culture è essenziale per definire l’identità americana stessa. Ma secondo un sondaggio condotto tra il 10 e il 15 luglio scorso, per il 57% degli elettori repubblicani, tredici punti in più dello scorso anno, vale l’esatto contrario e quindi un’eccessiva apertura costituisce addirittura un rischio. Se a questo dato si aggiunge che per poco più di sei americani su dieci non c’è concordanza su ciò che va definito linguaggio razzista, allora la retorica presidenziale potrebbe apparire non più come una semplice tecnica comunicativa ma come un messaggio politico vero e proprio.