Riforme necessarieSveglia, gialloverdi: l’economia italiana è ferma e voi non state facendo nulla

Parlare di crescita davanti a una previsione di +0,1% di Pil è un insulto all’intelligenza collettiva. La realtà è che le imprese non investono, l’industria langue e la disoccupazione giovanile aumenta. Contrattazione e produttività sono le uniche soluzioni

Tiziana FABI / AFP

Che il Mise non abbia chiaro il numero dei tavoli di crisi aperti è un fatto grave e drammatico dal momento che sono a rischio oltre 300.000 lavoratrici e lavoratori. Non avere un’istantanea reale della situazione industriale del proprio Paese è la premessa per brancolare nel buio, buttare soldi in modo scriteriato e sconnesso da un’idea di futuro, mancando anche il duplice obiettivo di aiutare i lavoratori a ritrovare una prospettiva e le imprese a rilanciarsi.

Con questa premessa, non sorprende che la produzione industriale sia al palo e che l’Italia sia prigioniera della stagnazione. Parlare di crescita davanti a una previsione di +0,1% di Pil è un insulto all’intelligenza collettiva, buono solo per consolidare l’ultimo posto in classifica sia in Europa che nel G7. Uno scenario, questo, che mina la speranza di costruire la prossima manovra finanziaria puntando sulla crescita e aumenta il rischio di ulteriori tagli e sacrifici. Infatti, la scorsa manovra era stata realizzata sulla base di aspettative di crescita che non si sono realizzate e che sono state smentite dallo stesso Governo che ha quindi impegnato risorse ingenti, molte delle quali a debito, per delle misure che hanno prodotto arretramento economico e industriale.

Nonostante tutto questo, il Governo continua a buttarla in caciara e a fuggire la responsabilità di affrontare il tema del lavoro, unica strada da cui passa il rilancio del Paese, nascondendo dietro inutili dibattiti e polemiche create ad arte la propria sospetta incompetenza. Non occuparsi dei problemi ha dei costi. Infatti, il tasso di occupazione giovanile tra i 15 e 24 anni è precipitato al 18,1%, contro il 42,2% dell’area Ocse e il 33,8% della zona euro. La cassa integrazione è in crescita: nel secondo trimestre di quest’anno, in Lombardia il ricorso agli ammortizzatori sociali è aumentato del 5,68%, in crescita costante da tre trimestri consecutivi; in particolare, è cresciuto del 12,65% l’utilizzo della Cassa Straordinaria; il settore metalmeccanico ha visto un aumento del 9,76% della cassa ordinaria e straordinaria e segnala particolari difficoltà anche nell’indotto auto e svariate riorganizzazioni che mettono a rischio oltre 2.000 posti di lavoro.

Fossero dei giocatori di calcio, i nostri governanti, probabilmente riceverebbero il Pippero, famoso riconoscimento con cui Mai Dire Gol premiava i calciatori “scarponi”, come quello che fece autogol in rovesciata da centrocampo

La produzione industriale è in contrazione. Si allarga il divario tra Nord e Sud, con la duplice beffa di non mettere le Regioni che corrono nelle condizioni di liberare tutto il proprio potenziale e dimenticare di recuperare quelle in difficoltà, che della crescita delle prime potrebbero beneficiare, aumentando contraddizioni e riducendo le opportunità per tutti. I dati UCIMU, inoltre, ci dicono che nel secondo trimestre del 2019 gli ordini di macchine utensili si sono ridotti del 31,4% rispetto allo stesso periodo del 2018. Una frenata dovuta sia al rallentamento del mercato estero e sia, soprattutto, dalla contrazione marcata della domanda interna, a significare che le imprese hanno abbandonato gli investimenti.

Nel 2017 e all’inizio del 2018 la spinta del Piano Industria 4.0, del precedente Governo, aveva fatto da volano a investimenti, produzione e occupazione, poi l’incertezza e i tentennamenti dell’esecutivo “giallo-verde”, sulle misure relative alla competitività e sugli scenari economici, hanno legato con doppio nodo i cordoni della borsa degli imprenditori che si sono seduti in attesa di tempi migliori. È vero che negli scorsi anni sono spariti diversi milioni di investimenti privati, che devono tornare in circolo, ma è altrettanto vero che nessuno, sia esso imprenditore o cittadino comune, investirebbe in una situazione di incertezza. Incertezza che in Italia non manca e che annebbia il presente e il futuro da oltre un anno a questa parte. Un periodo di chiacchiere e di aumento della spesa a scapito della crescita, con aggravio di costi annesso e senza nessun effetto benefico e moltiplicatore sull’economia. Fossero dei giocatori di calcio, i nostri governanti, probabilmente riceverebbero il Pippero, famoso riconoscimento con cui Mai Dire Gol premiava i calciatori “scarponi”, come quello che fece autogol in rovesciata da centrocampo.

È ora il momento di agire. Serve, come chiedono Cgil Cisl Uil, una seria riforma fiscale, collegata a una dura lotta agli evasori, che vada a favore di lavoratori dipendenti e pensionati. La flat tax, buona solo per i convegni sovranisti e per la finanza creativa, darebbe benefici solo a un contribuente su tre e potrebbe, addirittura, far pagare di più gli altri per via delle rimodulazioni su detrazioni e deduzioni e per la probabile cancellazione dei famosi 80 euro. Una seria riduzione del cuneo fiscale aiuterebbe anche l’occupazione e, a tal proposito, va ricordata la vigliaccata fatta dal Governo che, nel tentativo maldestro di abbassare le imposte alle imprese, ha ridotto i contributi Inail producendo un arretramento sul piano della tutela della salute e sicurezza anche in una Regione, come la Lombardia, che nei primi 5 mesi del 2019 ha contato 59 morti (15 in itinere e 44 sul lavoro).

Se siamo tutti convinti che l’Industria 4.0 sarà la strada obbligata per restare in corsa nella competizione industriale, bisogna dare a tutte le imprese la possibilità di agganciare l’innovazione digitale

Occorre rimettere in moto gli investimenti collegandoli a un progetto di Paese: se siamo tutti convinti che l’Industria 4.0 sarà la strada obbligata per restare in corsa nella competizione industriale, bisogna dare a tutte le imprese la possibilità di agganciare l’innovazione digitale, filone su cui siamo in fortissimo ritardo rispetto agli altri paesi. A questo tema vanno collegate anche misure di riorganizzazione tecnologica e organizzativa intervenendo, parallelamente, per adeguare le infrastrutture e le reti digitali, vie utili pure a creare lavoro al pari dello sblocco dei cantieri e delle grandi opere. Un grosso aiuto potrebbe arrivare dalla contrattazione soprattutto da quella aziendale e territoriale, strumento che ci consentirebbe di guardare alle piccole imprese, quelle che, da sole, non avrebbero i mezzi e le possibilità per innovare e rinnovarsi; la contrattazione territoriale dunque favorirebbe l’accompagnamento di queste imprese verso la digitalizzazione collegandole a un sistema di servizi adeguati, facilitando l’accesso al credito senza garanzie capestro, e integrandole ai competence center in una rete virtuosa in grado di favorire questa transizione delicata e decisiva.

La contrattazione, inoltre, è il volano necessario per incidere sulla produttività, unica via per migliorare la competitività delle imprese, liberare risorse da reinvestire in nuovi macchinari, in tecnologie, in aumenti di salario e in nuova occupazione, oltre a produrre benessere anche per le comunità dove l’impresa insiste. Contrattazione e produttività, tema che deve stare a cuore a tutti, passano anche dalla partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, quantomeno sul fronte dell’organizzazione del lavoro snodo dal quale poter davvero incidere nei miglioramenti, responsabilizzando reciprocamente le parti e producendo l’innalzamento della qualità delle relazioni industriali. Gli imprenditori abbiano il coraggio di sfidare questo tipo di sindacato, consapevoli che la qualità di questa sfida porterà ad auto-emarginare il pezzo conservatore che punta tutto, ancora, sui rapporti di forza e sul conflitto piuttosto che sulla qualità e dignità delle idee e della partecipazione che producono avanzamenti condivisi e migliorie decisive.

Solo prendendoci cura delle competenze delle lavoratrici e dei lavoratori il sistema paese riuscirà a evolvere, a innalzare il livello di sviluppo, ad attrarre investimenti, a favorire l’innovazione

A livello territoriale, inoltre, sarebbe utile creare un’anagrafe delle competenze, che consentirebbe di avere un monitoraggio costante, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie, delle professionalità e delle skill delle lavoratrici e dei lavoratori presenti nelle imprese, e nel mercato del lavoro, preoccupandosi di mantenerle sempre al passo coi cambiamenti e agganciate alle traiettorie di sviluppo delle imprese stesse. Un modo efficace per poter, anche, incrociare domanda e offerta sulla base di dati scientifici e richieste precise oltre che allineare, attraverso la formazione, le competenze delle persone che perdono il lavoro, a cui scade il contratto, o che cercano nuove esperienze, alle ricerche di personale qualificato che le aziende fanno.

In questo modo si supererebbero, in modo virtuoso, le rigidità del decreto dignità, alzando il livello del mercato del lavoro e contribuendo a spingere verso l’alto competenze e professionalità, producendo benefici collettivi. Un circuito che deve incastrarsi con un sistema ben oliato di alternanza scuola lavoro in modo che il mondo dell’istruzione torni a essere fucina delle competenze che le imprese richiedono per poter agganciare l’innovazione. Solo prendendoci cura delle competenze delle lavoratrici e dei lavoratori il sistema paese riuscirà a evolvere, a innalzare il livello di sviluppo, ad attrarre investimenti, a favorire l’innovazione, mantenendosi competitivo nell’industria globale dove si vince puntando su innovazione di prodotto e processo, in ricerca e sviluppo, in produzioni di qualità e ad alto valore aggiunto. Condizioni, queste, necessarie per avere salari elevati, che beneficino dei miglioramenti di produttività.

Serve un salto culturale potente, inclusivo e trainante che possa dettare una nuova agenda di sviluppo, crescita e benessere, dentro cui tutti possano realizzarsi e nessuno resti indietro. Siamo davanti a una sfida epocale dove chi ha responsabilità, a vari livelli, deve farsi carico di accompagnare le persone in questo cambiamento, sciogliendo, coi fatti, le normali preoccupazioni che, se trasformate in paure, bloccano il progresso e frenano la creazione di nuove tutele e migliori opportunità. Ecco perché occorre quanto prima imparare a fare sistema. Questa è una sfida che si vince tutti insieme, a condizione che il Governo esca da Facebook, inizi a sciogliere i nodi che rischiano di soffocare il nostro futuro, e accolga la sfida di chi ha a cuore il futuro del Paese.

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