Tratto dall’Accademia della Crusca
Molte le domande su bocciare, un verbo di nascita relativamente recente nella lingua nazionale; il GRADIT lo data al 1863, ma è più antico (Google Libri lo attesta nel dizionario francese-italiano di G. Veneroni del 1702), specie nei dialetti, ed è legato al gioco delle bocce: colpire la boccia avversaria. Ai primi del Novecento è già registrato come “notissimo” dal Dizionario del Panzini (1905) nel senso figurato di ‘respingere qualcuno agli esami’, significato che, in Toscana, circola anche con costrutto intransitivo (‘far male agli esami’). Forse sull’inglese blackball (la palla nera, che era il segno del voto negativo), acquista, secondo il DELI, anche l’oggi diffuso significato di ‘respingere qualcosa’ (una proposta, una legge, una domanda).
Le domande dei nostri lettori riguardano sia la morfologia che la sintassi del verbo. Cominciamo dalla morfologia. L’ausiliare di bocciare è avere all’attivo e, ovviamente, essere al passivo, la diatesi in cui è più usato nei significati scolastici. Al posto di essere il passivo ammette, come di consueto, anche venire (“Alle elementari Giorgio venne bocciato due volte”). Non, invece, rimanere, come forse sospetta un lettore. Rimanere compare con valore copulativo in frasi in cui bocciato (o promosso, come osserva un altro lettore) funge da complemento predicativo: “Giorgio è rimasto bocciato /promosso”. Ma nel costrutto copulativo rimanere ha valore di ‘restare in una condizione precedente’ (“rimanere giovani”) oppure di ‘passare e poi restare in una condizione o stato diversi da quelli di prima’ come in: “Giorgio ci è rimasto male/ rimase ferito”. Con bocciato, rimanere non avrebbe precisamente questi valori, perché lo stato di chi è bocciato non è esattamente lo stesso di prima, ma neppure immette in una condizione diversa. Lo stesso si dica per rimanere promosso: un vecchio manuale (E. Milano, L’idioma d’Italia 1948) si chiedeva come si poteva rimanere promossi, visto che chi lo è va avanti… Quindi l’espressione rimanere bocciato, pur comune, come osservato da una lettrice, in certi italiani regionali settentrionali (il Primo Tesoro trova nella Malora, il romanzo più “piemontese” di Beppe Fenoglio: “restar bocciati”) e oggi variamente attestata da Google, non è raccomandabile nell’uso formale. È preferibile usare essere.
Ma le domanda più delicate su bocciare riguardano la sintassi e la legittimità del complemento diretto o indiretto della prova in cui si è respinti: “qualcuno boccia (a) un esame”, nel senso di ‘non lo supera, non ce la fa’ è corretto?, chiedono i lettori.
Partiamo dalla precisazione che bocciare, come abbiamo visto, è verbo che nasce da boccia e dal gioco delle bocce, dove è usato sia con costrutto transitivo (“Giorgio ha bocciato il pallino”) che, più spesso, intransitivo assoluto (“Giorgio ha bocciato e ha vinto”) o con complemento indiretto (“Giorgio ha bocciato nella sua [boccia]!”). Dall’ambito sportivo è passato ad altri. In costruzione intransitiva si è affermato nel senso di ‘urtare con la parte anteriore di un’automobile contro quella posteriore di un’altra’, ‘tamponare’: “ha bocciato nella/contro la macchina davanti”; il GDLI lo classifica di registro paradialettale, ma l’uso si è esteso, tant’è che il più recente GRADIT attesta, pur con la restrizione dell’ambito d’uso familiare, solo questo significato della costruzione intransitiva del verbo. E in costruzione transitiva (più spesso passiva) ha assunto anche il significato di essere respinto (detto di persona o cosa) in esami, scuole, valutazioni ecc. In questo caso c’è qualcuno (professore, scuola, commissione, assemblea ecc.) che boccia, cioè respinge qualcun altro o qualche cosa, come la boccia che, colpendola, ne allontana un’altra.
Il verbo ha da qualche tempo però sviluppato anche costrutti transitivi e intransitivi dal significato un po’ diverso anche se sempre con le valenze appena viste di tipo scolastico, concorsuale ecc.; in questi costrutti vale “fallire, mancare l’esame o all’esame”: sono le costruzioni su cui chiedono lumi i nostri lettori.