1,5°
Sono i gradi di innalzamento della temperatura globale (rispetto ai livelli pre-industriali) che non è consentito oltrepassare. Secondo le stime attuali dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), ogni superamento porterà, come dice il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, «a danni primari e irreversibili all’ecosistema». Eppure, se tutto rimanesse come è ora, si arriverebbe entro la fine del secolo a un innalzamento di tre gradi.
Troppo, anche perché il circolo polare artico lancia segnali allarmanti: secondo alcune ricerche sul campo, la tendenza del riscaldamento delle acque dell’area sarà di 4,3° per ogni decade, mentre quella dell’aria sarà di 3°. Un processo definito “atlantizzazione” e dagli effetti devastanti.
Per questo l’obiettivo finale di lungo periodo del Climate Action Summit 2019 è ridurre a zero le emissioni entro il 2050, diminuendole del 45% entro il 2030. Un impegno che implica, per necessità, la collaborazione di ogni soggetto: governi, aziende e società civile.
Da parte loro, 59 nazioni hanno manifestato l’intenzione di sottoporre, migliorato, un piano (Nationally Determined Contribution) per l’abbattimento delle possano avere un impatto già visibile nei rispettivi piani nazionali. Fare il punto è necessario in vista della 25esima conferenza delle Parti (Cop25) che si terrà a dicembre a Santiago, in Cile.
Importante segnalare anche l’impegno dei privati: come dichiarato qui, già 87 delle più grandi aziende del mondo (vantano un giro d’affari complessivo di 2.300 miliardi e un livello di emissioni dirette giornaliere pari a 73 centrali elettriche a carbone) si sono assunte il compito di agire per «allineare la gestione del proprio business con gli obiettivi posti dalla scienza».
Come andrà, lo si vedrà. La speranza è che non ci si limiti alle parole.