Investimenti mancatiComplimenti Italia, sono sempre meno i soldi pubblici per ricerca e sviluppo

Nonostante la stagnazione economica, le piccole e medie aziende italiane puntano sulla ricerca, mentre lo Stato non solo non spende, ma trattiene le poche risorse messe a disposizione

Anche nella ricerca le imprese devono cavarsela da sole. E’ questo che emerge dagli ultimi dati dell’Istat che rilevano quanto e, soprattutto come, sia aumentata la spesa in ricerca e sviluppo, che sostanzialmente in Italia è rivolta alle aziende private. Secondo le stime nel 2019, ricevono 15 miliardi e 373 milioni, contro i 3 miliardi e 198 milioni delle istituzioni pubbliche, e i 5,6 miliardi delle università (dati del 2017). Risibile il contributo verso privati no profit, meno di mezzo miliardo.

Intendiamoci, ovunque nel mondo occidentale a prevalere nella ricerca sono soprattutto le imprese. Quello che non è molto normale è la stagnazione della spesa in R&D sostenuta a favore delle istituzioni pubbliche e delle università. In Germania per esempio la ricerca effettuata all’interno del settore statale è passata tra 2006 e 2017 da 8 a 13 miliardi, in Spagna da 1,9 a 2,5, in Italia da 2 miliardi e 897 milioni a 2 miliardi e 964. Sostanzialmente ferma. Lo stesso potrebbe dirsi di quella universitaria.

Volendo guardare alla fonte dei finanziamenti, il ritardo del settore pubblico appare ancora più evidente. Mentre nel 2012 quelli provenienti dalle imprese erano meno del 50% sul totale nel 2017 sono diventati decisamente la maggioranza. Le aziende hanno accresciuto la spesa di circa 3,7 miliardi in 5 anni, anni non facili tra l’altro. Lo Stato l’ha diminuita di più di un miliardo, e se nel 2012 sborsava solo poche centinaia di milioni in meno delle imprese, nel 2017 il gap è divenuto di oltre 5 miliardi

Diminuisce anche la proporzione di stanziamenti pubblici che finiscono alle imprese, dal 9% al 6,8% del totale. Mentre cresce quella che rimane allo Stato, dal 30,4% al 32,8%. Il quale si prende una porzione crescente, dal 5,7% si è passati al 12,3%, anche di quanto stanziano le università. Mentre chiaramente le imprese continuano a destinare quasi tutto a se stesse. Insomma, le aziende spendono di più e utilizzano per sè questa spesa, il pubblico sborsa meno e cerca di trattenere in misura maggiore questi decrescenti stanziamenti.

Quando vi sono squilibri in Italia, il gap tra Nord e Sud rientra sempre nel discorso, lo sappiamo. E’ così prepotentemente anche nell’ambito della ricerca. Dove a dominare è naturalmente il Nord, in particolare nella R&D più importante, quella delle imprese. Quasi 11 miliardi dei 14,8 che arrivano alle aziende sono destinati (e in gran parte generati) alle imprese del Nord. Molto più equilibrata la ricerca delle università, dove anzi prevale leggermente il Centro. Centro, o per meglio dire Roma, che è campione della ricerca pubblica.

Ci sono degli aspetti positivi, tuttavia. La ricerca delle imprese non è solo cresciuta ma, nella maggior parte degli anni, quella delle aziende del Sud è aumentata più della media. In particolare nel 2017, con un +11,4% contro il +5,3%. L’opposto di quanto accaduto nel settore pubblico, dove è stata in aumento solo la ricerca effettuata a Roma e dintorni, accentuando di più lo squilibrio già esistente.

Squilibri presenti anche dal lato delle dimensioni aziendali. Oltre la metà della ricerca effettuata dalle imprese viene realizzata da aziende con più di 50 dipendenti, sia perchè ricevono metà degli stanziamenti delle aziende stesse sia perchè a esse arrivano quasi tutto ciò che spendono coloro che sono raccolti in “resto del mondo”, in cui sono inclusi evidentemente investitori privati o istituzioni estere, che guardano soprattutto ai grandi.

Anche qui tuttavia vi è una nota ottimista. Le imprese in cui è maggiormente aumentata la spesa per ricerca, in particolare proveniente dalle aziende stesse, sono quelle più piccole. Quelle con meno di 250 addetti hanno messo a segno incrementi di doppia cifra. E’ probabile che la nascita del fenomeno delle start-up abbia giocato un effetto benefico su questi numeri.

Di fatto è la fotografia di un’Italia in parte nascosta, in cui le imprese fanno da sole, senza attendere che lo Stato si ricordi dell’importanza della ricerca, o della produttività, o della competitività. Un’Italia in cui le piccole imprese, finalmente anche del Sud, uscite e in un certo senso selezionate dalla grande moria della recessione, invece comprendono che conviene loro spendere in ricerca e sviluppo, e lo fanno costi quel che costi, anche in un periodo di ripresa flebile e deludente.

Si chiama resilienza, termine che va molto di moda e spesso è abusato, ma che qui si applica bene. La speranza è che anche il settore pubblico abbia la stessa capacità di comprensione. I dati del 2018 e del 2019, per ora solo aggregati, sembrerebbero fare ben sperare, ma è ancora presto per dirlo.

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