Calcio ed eroiIl numero di Sinisa Mihajlovič, il campione che non si arrende mai

Nonostante sia stato colpito dalla leucemia, il campione serbo continua ad allenare il Bologna. Dopo al vittoria dei rossoblù sul Brescia i suoi giocatori sono andati a festeggiare sotto la sua stanza al Policlinico Sant’Orsola, suscitando la sua commozione

Miguel MEDINA / AFP

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Il numero di maglia di Sinisa Mihajlovič, ex giocatore serbo che a lungo ha militato nel campionato italiano (Roma, Sampdoria, Lazio, Inter) e ora allenatore del Bologna. Nonostante sia stato colpito di recente da una grave malattia (leucemia), la sua decisione di continuare ad allenare – anche presentandosi in campo, quando le condizioni di salute lo permettono – ha sollevato cori di affetto, ammirazione e sostegno. Dopo la vittoria del Bologna contro il Brescia (un sofferto 4 a 3 fuori casa) i suoi giocatori sono andati a festeggiare il risultato sotto le finestre del Policlinico San’Orsola, ospedale dove è ricoverato: «Non me l’aspettavo», ha detto commosso di fronte agli applausi. «Oggi siete stati bravi, ma non abbiamo fatto niente».

Noto per il suo carattere di ferro (è soprannominato il Sergente) e il suo nazionalismo controverso (ebbe occasione di difendere Ratko Mladić, generale accusato di genocidio, e Slobodan Milošević, presidente della Serbia, a processo per crimini contro l’umanità), nel corso della sua carriera di calciatore ebbe modo di farsi notare per le sue particolari doti tecniche. In particolare, il calcio piazzato: 28 reti realizzate in Serie A (record condiviso con Andrea Pirlo) di cui tre in una sola partita (primato che lo accomuna a Guseppe Signori).

Comincia la sua carriera in Jugoslavia: prima al Vojvodina, sua città natale (75 presenze e 20 reti), poi alla Stella Rossa di Belgrado (36 presenze e 13 reti). Nel 1992 viene acquistato dalla Roma per 8,5 miliardi di lire. Gioca due stagioni, collezionando 69 presenze e sette reti. Nel 1994 passa alla Sampdoria: quattro stagioni, 128 partite e 15 reti. Nel 1998 torna a Roma, ma alla Lazio: e qui rimane fino al 2004, giocando per sei stagioni, con 193 presenze e 33 gol. È l’apice della carriera: con i biancocelesti Mihajlovič vince un campionato (2000), due Supercoppe Italiane (1998 e 2000), una Supercoppa Europea (1999), una Coppa delle Coppe (1999) e due Coppe Italia (2000 e 2004). Conclude all’Inter, dove a 35 anni è il giocatore più anziano ed esperto: totalizza due stagioni in cui totalizza 43 presenze e sei gol.

A conti fatti, è una carriera memorabile, che conta 563 partite, tra Italia, Jugoslavia, squadre di club e nazionale. E 96 gol.

La sua specialità? Il calcio piazzato: 28 reti realizzate in Serie A (record condiviso con Andrea Pirlo) di cui tre in una sola partita (primato che lo accomuna a Guseppe Signori)

Come allenatore si muoverà di più: i primi passi li fa all’Inter, come vice di Roberto Mancini. Nel 2008 diventa per pochi mesi tecnico del Bologna, in una stagione sfortunata che vedrà solo quattro vittorie. Sarà esonerato ad aprile 2009. Ricomincia da Catania, dove arriva a dicembre e con 10 successi raggiunge la 13esima posizione. Dal 2010 fino al 2012 è alla guida della Fiorentina: nono posto nella prima stagione, esonerato nella seconda.

Le peregrinazioni sulle panchine continuano fa un anno alla guida della Serbia: 19 partite e sette vittorie; torna alla Sampdoria nel 2013 (12esimo posto) e nel 2014 (settimo posto). Al Milan (arriva nel 2015) va male, e viene esonerato ad aprile 2016. Poi è al Torino, per due stagioni: nono posto e, di nuovo, esonero da parte della società. È tempo di andare all’estero: lo chiama lo Sporting Lisboa, dove rimane solo il mese tra luglio e agosto. E poi, subito, torna in Italia: Bologna, da gennaio 2019 dove vince nove partite.

Qui rimane per la stagione in corso, dove rivela, in una conferenza stampa, di essere affetto dalla leucemia. Ma nessuno, conoscendo il suo carattere di ferro e la sua reputazione di “combattente” è rimasto stupito della sua decisione di rimanere in panchina (per quanto possibile) e continuare ad allenare. Non è uno che si arrende. «Sembra un incubo, ma è la realtà. E io vincerò e diventerò un uomo migliore e più maturo. Nella vita nessuno mi ha regalato nulla e mi guadagnerò anche questa vittoria», ha detto. E tutti sono con lui.

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