Kentucky caput mundiIl Kentucky deciderà il destino dell’America di Donald Trump. E quindi il nostro

L'intuizione di McConnell, considerato il "Re del Senato" è molto semplice: chi controlla le corti federali controlla anche il processo legislativo. E soltanto nell'ultimo anno ha confermato 60 giudici federali nominati da Trump

Può uno stato così piccolo diventare nodale per i destini dell’America, tanto da decidere anche i destini del presidente? Prendiamo il Kentucky. Entrato nell’Unione nel 1792, l’economia dello stato allora si caratterizzò per le coltivazioni di tabacco e canapa, oltreché per il foraggio. Coltivate grazie all’ingente manodopera degli schiavi. I quali a loro volta divennero una risorsa economica importante per la vendita negli stati del Profondo Sud, per lavorare nelle piantagioni di cotone. Ciònonostante, quando venne il momento della guerra civile e dello scontro tra gli stati liberi e quelli schiavisti, il Kentucky era la via di mezzo perfetta. Sia il presidente dell’Unione Abraham Lincoln che quello confederato Jefferson Davis erano nati lì. Il senatore John Crittenden propose una serie di compromessi costituzionali per evitare il conflitto, ma anche nella sua famiglia si riproduceva la divisione nazionale: il figlio minore Thomas divenne un generale nordista mentre George, il maggiore, si schierò con gli schiavisti.

Con molti mal di pancia, il Kentucky scelse di schierarsi con l’Unione, con un piccolo governo filoconfederato schierato nella città di Russellville e sostenuto dall’ex vicepresidente John Breckinridge. Negli anni successivi il Kentucky rimase uno stato prevalentemente agricolo. E lo è ancora, con la soia a giocare una parte importante (qui si trovano alcuni numeri sul volume di questa coltivazione), che però sta venendo gradualmente soppiantata dalla canapa industriale (e McConnell sta spingendo sulla sua piena legalizzazione per favorirne gli agricoltori). Ma veniamo all’oggi: di questi temi agricoli, nella campagna elettorale per l’elezione del governatore e di altre cariche locali, quasi non c’è traccia. Vediamo quali sono gli attori della vicenda che vede coinvolto il governatore Matt Bevin, il leader di maggioranza al Senato Mitch McConnell e la moglie Elaine Chao, segretario ai trasporti. E, stavolta c’entra un po’ meno, anche il presidente Donald Trump.

Matt Bevin divenne governatore del Kentucky nel 2015. Il consenso dei democratici nel 2015 era concentrato nelle aree metropolitane di Lexington, Louisville e della capitale Frankfort. La candidatura del popolare procuratore generale Jack Conway non era riuscita a fermare l’ascesa di un candidato così improbabile. In tasca una laurea in studi orientali e quattro anni di servizio come ufficiale di fanteria dal 1989 al 1993, Bevin dal 2008 aveva preso il comando dell’azienda di famiglia, la Bevin Bells Company, fondata nel 1832 a East Hartford in Connecticut. In quell’anno l’azienda è in crisi ed è in debito, sia con i fornitori che con il fisco. Bevin la ristruttura finché nel 2012 l’azienda torna pienamente operativa e risanata, anche con l’aiuto di un piano ad hoc del governatore democratico Daniel Malloy, che gli ha garantito un prestito di centomila dollari in fondi statali, varato in seguito all’incendio dello stabilimento il 27 maggio 2012.

Sembrava quindi improbabile nel 2014 che un imprenditore che ha beneficiato del sostegno statale si candidasse per il partito repubblicano, per di più in uno stato come il Kentucky, nel quale risiede dal 1993,

Sembrava quindi improbabile nel 2014 che un imprenditore che ha beneficiato del sostegno statale si candidasse per il partito repubblicano, per di più in uno stato come il Kentucky, nel quale risiede dal 1993, da quando è diventato vicepresidente del fondo d’investimento Putnam Investments. E contro uno come Mitch McConnell, potente leader di minoranza. Ma così scelse di fare, definendo McConnell “non abbastanza conservatore”. Affermazione che fa un po’ sorridere, come vedremo più avanti. Ma nonostante queste difficoltà, riesce a costringere McConnell sulla difensiva, anche nei suoi rapporti con l’allora presidente Barack Obama. Nel giorno delle primarie, il 20 maggio 2014, Bevin raccoglie il 35,4% contro il 60,2% di McConnell.

Pur riconoscendo la sconfitta, non appoggia McConnell, che per tutta risposta lo ignora. Ma nonostante questo rimane politicamente attivo e decide di competere per la carica di governatore. Le sue posizioni estremiste, favorevoli all’abolizione dell’Obamacare e al mantenimento del divieto di matrimoni gay esplicitato nella costituzione dello Stato, rendono la sua candidatura improbabile, anche alle primarie, dove sceglie l’afroamericana Jenean Hampton nel ticket. Vince di misura le primarie e va a sfidare il moderato Procuratore generale, il democratico Jack Conway. Per i sondaggi la strada di Bevin è in salita. A sorpresa, invece prevale di quasi dieci punti, complice l’affluenza bassa, intorno al 30%. La vittoria di Bevin viene un anno prima di quella, sorprendente, di Donald Trump.

La sua agenda di governo conservatrice ha però effettuato tagli non lineari, risparmiando le scuole elementari e medie, la polizia statale, le pensioni e i lavoratori nel sociale. Ma ha colpito duramente le agenzie statali, colpendole con un taglio lineare del 4,5% a partire dal primo anno in carica. Ma anche sull’immigrazione ha seguito la linea di Trump, sin da quando nei primi giorni della sua amministrazione ha rifiutato di accogliere rifugiati siriani fino allo scorso 12 luglio, quando ha annunciato un disegno di legge per bandire le città-santuario nello Stato, dove i migranti irregolari non rischiano di venire deportati. Il suo avversario Andy Beshear, Procuratore Generale dello Stato, lo tallona nei sondaggi. E McConnell, che fa in tutto questo? Continua a lavorare per il suo ambizioso piano di controllo del sistema giudiziario.

Addison Mitchell McConnell detto Mitch, non è sempre stato un gelido calcolatore politico e un oscuro player della palude di Washington. Anzi, è stato un giovane avvocato moderato, favorevole alle istanze sindacali e al diritto all’aborto, come testimoniato da queste foto tratte dalla sua prima campagna elettorale, dove correva per diventare capo esecutivo della contea di Jefferson, che ospita la città di Louisville. Verrà eletto nel 1977, e manterrà la carica fino alla sua elezione al Senato. Lì inizia la sua lenta trasformazione. Comincia a virare gradualmente a destra in quegli anni, non tanto per convinzione ideologica quanto per il suo graduale scivolamento in una mentalità da campagna elettorale permanente, come spiegato in un saggio del giornalista di ProPublica Alex MacGillis. Ma non è tanto questo a interessarci. Ci interessa come questo oscuro senatore, proveniente da uno stato che ha uno dei redditi familiari più bassi dell’Unione, come testimoniato dai dati dell’ufficio federale del Censimento, sia diventato un dominus assoluto del Senato.

Nichilista in capo, lo ha definito Alex Pareene su New Republic. Kim Wehle sul magazine online conservatore e antitrumpiano The Bulwark lo ha descritto come “Re del Senato“.

Ma l’intuizione di McConnell è molto semplice: chi controlla le corti federali controlla anche il processo legislativo. E soltanto nell’ultimo anno ha confermato 60 giudici federali nominati da Trump

Ma l’intuizione di McConnell che lo ha messo una spanna oltre i suoi avversari e alleati è molto semplice: chi controlla le corti federali controlla anche il processo legislativo. E soltanto nell’ultimo anno ha confermato 60 giudici federali nominati da Trump. Nell’ultimo anno della presidenza di Obama ne erano stati approvati solo undici. E non venne nemmeno tenuta una singola audizione per la Merrick Garland, nominato da Obama in sostituzione di Antonin Scalia alla Corte Suprema. McConnell si vantò pubblicamente di aver bloccato quella nomina, tanto da fare gesti di dubbio gusto. A differenza di Obama, che riteneva secondarie le nomine giudiziarie rispetto al far star meglio gli americani, per McConnell queste erano il nodo tramite il quale una legge può sopravvivere oppure no.

Da quando è leader dei repubblicani al Senato, dal 2006 come minoranza e dal 2014 come maggioranza, McConnell ha rafforzato questa sua visione. Tanto da ribaltare la “Biden Rule”: non si confermano giudici negli anni di elezioni. A meno che i presidenti non si chiamino Donald Trump. I suoi rapporti con la moglie Elaine Chao, nominata da Trump Segretario ai trasporti sono a loro volta finiti sotto i riflettori: avrebbe incontrato dal gennaio 2017 al marzo 2018 più esponenti politici del Kentucky che di tutti gli altri stati messi insieme. Ma i favoritismi sono anche più nel micro: nella cittadina di Paducah, 25mila abitanti circa, Elaine Chao, nelle vesti prima come Segretario al Lavoro di George W. Bush poi come Segretario ai Trasporti di Donald Trump, avrebbe convogliato circa 509 milioni di dollari di fondi federali. Il motivo? Una generosità particolare degli abitanti, soprattutto nel donare soldi alle campagne elettorali di McConnell nel corso degli anni.

Questa accoppiata vincente, con poca attenzione al conflitto d’interessi, sicuramente sarà schierata con il presidente per motivi di convenienza. Apparentemente, no. McConnell ha detto che “non ha scelta” e che qualora la Camera voterà gli articoli di messa in stato di accusa di Trump, lui farà indire il processo. Sulla questione ucraina, invece, il leader di maggioranza ha mantenuto il suo proverbiale sangue freddo, anzi, il suo “ghiaccio nelle vene“, non lasciandosi sfuggire nemmeno una parola. Tutto dipenderà anche da come andranno le elezioni per il suo rivale-alleato Matt Bevin. Probabilmente bene, come spiega questo articolo, ma non è detto. La cosa potrebbe essere un boomerang per il freddo Mitch. E qualora la sua posizione fosse in pericolo, non esiterebbe nemmeno un attimo a scaricare il presidente.

(Tratto dalla newsletter Jefferson- Lettere sull’America. Per iscriversi cliccate qui)

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