Prima che una Rosi Bindi, un Travaglio, un Morra o un prete insorgano a dire che la Cassazione, presieduta da uno dei suoi migliori cervelli, non capisce nulla della “nuova mafia” come contestarono al vilipeso tribunale capitolino, occorre leggere dentro le righe del lungo dispositivo della sentenza di martedì per capire. La Cassazione spazza via l’incolore sentenza d’appello e resuscita in ogni piega la sentenza di primo grado, a partire dal riconoscimento dell’esistenza di due distinte associazioni: quella di Carminati con base al distributore di Corso Francia e dedita all’usura e quella messa in piedi dal “ Cecato” con Buzzi per praticare la corruzione nel corpaccione del comune capitolino. Nessuna fusione ma realtà distinte di criminalità ordinaria. Sarà bene precisare che il tribunale mai si è sognato di scrivere che l’unica mafia possibile sia quella «con Coppola e lupara» come spregiativamente sottolineato dalla procura di Roma nei motivi di appello. Assai più semplicemente ha affermato che ciò che era proposto dall’allora Procuratore Pignatone era un modello fuori produzione, un prototipo non contemplato da alcun articolo di legge e dunque inservibile.
Si chiama «principio di stretta legalità»: il diritto di ogni cittadino, compreso anche il “malacarne“ di essere informato prima di violare la legge dell’esatta connotazione dei reati che andrà a commettere. In Mafia Capitale era avvenuto questo: gente convinta di compiere corruzioni e turbative d’asta aveva scoperto il giorno dell’arresto di aver compiuto atti di mafia “a sua insaputa”. Prima ancora che nei pedinamenti di Carminati, Mafia Capitale è nata in una commissione ministeriale presieduta da un grande giurista garantista come Giovanni Fiandaca incaricata appunto di porre mano al 416 bis per estenderlo ai nuovi modelli di criminalità organizzata. Tentativo fallito raccontano i protagonisti perché dietro insistenza del procuratore Pignatone, che allora già conduceva le indagini su Carminati, si era deciso di «lasciare immutata la formulazione legislativa dell’associazione di stampo mafioso, confidando in una futura evoluzione giurisprudenziale in grado di fornire soluzioni via via più soddisfacenti». La soluzione “ Mafia Capitale” un precipitato tra “romanzo criminale “ e le analisi sociologiche di Rocco Sciarrone ne è stato il prodotto.
In Mafia Capitale era avvenuto questo: gente convinta di compiere corruzioni e turbative d’asta aveva scoperto il giorno dell’arresto di aver compiuto atti di mafia “a sua insaputa”
Lo scopo della creazione giuridica era consentire alle procure l’uso di un apriscatole affilato come la legislazione anti-mafia per penetrare dentro le realtà criminali dedite alla corruzione perseguite allora con strumenti blandi. Poi è accaduto l’imprevisto sotto forma dell’avvento del governo populista. Proprio l’indagine capitolina aveva agevolato il trionfo dei 5 Stelle e annunciato la crisi del PD. I gialloverdi al governo hanno messo in cantiere lo “spazzacorrotti” elevando i reati corruttivi al rango di pericolosità di quelli di mafia. Le stesse pene, le stesse misure di confisca, l’immediata esecuzione, la negazione delle pene alternative. Probabilmente il vento giustizialista si è portato appresso la “mafia creata” e l’interpretazione “estensiva”: semplicemente non ce n’è più bisogno.
Ed ecco paradossalmente è la stessa arma dell’interpretazione innovativa a mezzo sentenza che viene usata per arrestare il mostro creato artificialmente con lo stesso metodo. La Cassazione che pure aveva riconosciuto la natura mafiosa dell’associazione durante la fase delle indagini giudicando sulle misure cautelari ed aveva nel corso degli anni con una serie di pronunce allargato i confini dei reati di mafia si è fermata. Ha recuperato i valori costituzionali legati al principio di legalità ed alla proporzione delle pene (non si possono infliggere per reati non di sangue pene da crimini violenti). Così come su un altro versante la Corte Costituzionale che nello stesso giorno giudicava sull’ergastolo ostativo ha iniziato una tenace opera di valorizzazione del recupero sociale dei detenuti e di umanizzazione delle pene.
Viene da pensare che i famosi, invocati “corpi intermedi“ si stiano mostrando nelle vesti di raffinate élite tecniche capaci di vanificare le distruttive spinte delle leggi populiste proprio con l’arma sottile dell’interpretazione. Concludendo i lavori del congresso delle Camere Penali, il presidente dei penalisti ( che hanno conseguito l’altra sera un’affermazione di grande prestigio) Giandomenico Caiazza si è chiesto angosciato come far fronte alla furia giustizialista del governo giallorosso. Senza voler esagerare forse l’inaspettato esito di Mafia Capitale mostra un sentiero, ancora stretto, ma da percorrere.
* L’autore ha fatto parte del collegio difensivo nel processo Mafia Capitale.