Perché Leonardo Del Vecchio ha acquistato il 6,94% delle azioni di Mediobanca? Da due settimane se lo chiede tutto il mondo finanziario italiano. L’istituto di credito fondato nel 1946 dal banchiere Enrico Cuccia da tempo non è più la regina delle banche d’affari e da almeno dieci anni non ha più un controllo diretto o indiretto sulle più importanti aziende italiane nel mercato. L’ex salotto buono del capitalismo italiano è diventato un tinello. Farne parte è considerato più uno status che una necessità. E invece l’11 settembre, con una mossa a sorpresa comunicata all’ultimo, il fondatore di Luxottica ha spesso 600 milioni per diventare con la sua holding Delfin, il terzo azionista dopo Unicredit (8,81%) e il gruppo del finanziere francese Vincent Bollorè (7.85%). Ora che il masso è caduto nello stagno, tutti aspettano la prossima mossa del secondo uomo più ricco d’Italia, abituato più a innovare, fare fusioni e acquisizioni che star fermo a incassare dividendi. Del Vecchio ha comunicato con una nota di voler aumentare il valore della banca d’affari e secondo molti analisti il modo migliore per farlo potrebbe essere migliorare la governance delle Assicurazioni Generali, l’ultimo gioiello di famiglia rimasto a Mediobanca, che ne è il primo azionista con il 13% delle quote. Del Vecchio possiede già il 4,87% delle azioni di Generali, assieme ad altre importanti famiglie imprenditoriali italiane come Caltagirone (5,01%) e Benetton (3,04%).
L’obiettivo di Del Vecchio potrebbe essere quello d’inserire suoi uomini all’interno del gruppo assicurativo di Trieste. Già in primavera il patron di Luxottica aveva provato a farlo con l’appoggio di Caltagirone approfittando del rinnovo del consiglio e del limite d’età che impediva la riconferma del presidente Gabriele Galateri. Ma lo statuto è stato modificato, abolendo il tetto dell’età e l’ad di Mediobanca Alberto Nagel,in qualità di azionista di maggioranza, ha presentato una la lista per il nuovo cda in continuità col passato che ha portato alla conferma a maggio di Galeteri e dell’amministratore delegato Philippe Donnet. Al tempo Caltagirone commentò: «Il cda è espressione di un mondo di tre anni fa». Uno screzio che forse ha lasciato il segno.
Si tende a dare sempre più importanza ai manager che gestiscono le società, ma ciò che conta veramente sono le idee, la visione imprenditoriale, la capacità di guardare lontano e proiettare l’azienda in avanti
Persa la battaglia per cambiare il cda di Generali, l’84enne miliardario con molta liquidità vuole tornare alla carica per spezzare l’asse Milano-Trieste, puntando a incidere sul rinnovo del consiglio di Mediobanca, che dovrà avvenire tra un anno. Da Milano potrebbe incidere sulle prospettive di crescita di Generali magari appoggiandosi i fondi d’investimento privati e aumentando la quota di capitalizzazione dal mercato delle Assicurazioni venete. Non sarà facile trovare il nome su cui puntare perché secondo lo statuto l’ad dovrà essere scelto tra i manager di Mediobanca che si trovano da almeno tre anni nel consiglio.
Dietro la mossa di Del Vecchio ci potrebbero essere altre motivazioni legate alla filosofia dell’imprenditore. «Si tende a dare sempre più importanza ai manager che gestiscono le società, ma ciò che conta veramente sono le idee, la visione imprenditoriale, la capacità di guardare lontano e proiettare l’azienda in avanti», spiegava il fondatore di Luxottica in un’intervista al Corriere della Sera nel novembre 2016. «Il manager si concentra sulle tecniche di gestione e sulla sofisticazione delle organizzazioni e a volte si dimentica di chiedersi semplicemente se il prodotto che fa è buono o cattivo, se lo si può fare meglio o diverso, se c’è un modo migliore di servire i clienti o di parlare con loro. Queste sono le domande che mi ponevo cinquant’anni fa senza aver studiato e aver fatto l’università, e sono le stesse che pongo ogni giorno ai miei manager in azienda».
Tra Del Vecchio e Nagel c’è anche un altro screzio legato allo Ieo. Il patron di Luxottica tramite la sua fondazione ha il 18,46% delle azioni dell’Istituto europeo di oncologia creato da Umberto Veronesi e qualche mese fa ha provato a presentare con Unicredit, altro socio, un piano di sviluppo per rendere lo Ieo un centro di eccellenza europeo. «Ho lo stesso sogno di Veronesi e sarò felice di mettere a disposizione le risorse per realizzarlo», aveva annunciato. Ma Nagel (Mediobanca ha il 25% delle azioni) ha appoggiato il piano dell’amministratore delegato dello Ieo Mauro Melis, che si era opposto alla donazione perché i poteri di gestione dell’istituto sarebbero passati alla fondazione legata a Del Vecchio. Un altro nodo segnato al fazzoletto del fondatore di Luxottica.
Nella lotta tra Del Vecchio e Nagel rimane sullo sfondo Unicredit, primo azionista di Mediobanca che non ha mai considerato la banca d’affari una sua priorità. Per ora si aspetta la presentazione del piano industriale dell’amministratore delegato Jean Pierre Mustier che cerca da mesi un istituto di credito con cui fare una fusione. In attesa della mossa di Unicredit nulla cambierà nel breve periodo. E Bolloré? Per ora il finanziere bretone rimane il secondo azionista di Mediobanca e si mantiene fuori dalla lotta. Ieri ha svalutato di circa 30 milioni di euro la propria quota in Mediobanca, ma la mossa era già stata annunciata da tempo. «Le azioni si pesano, non si contano» diceva Donato Menichella al suo pupillo Enrico Cuccia, preoccupato sempre degli equilibri interni alla regina delle banche d’affari italiane. Al tempo con una bassa percentuale si poteva controllare Mediobanca. Ma i tempi sono cambiati. Ora si conterà tutto, fino all’ultima azione.