Quesiti linguisticiSi può dire “è stato ritrovato cadavere”? Risponde la Crusca

Alcuni si chiedono quale sia la corretta etimologia della parola e se debba considerarsi un nome comune di cosa o di persona; altri invece ci domandano se sia opportuno l’uso, prevalentemente giornalistico, di cadavere in funzione aggettivale

Tratto dall’Accademia della Crusca

La parola cadavere è voce dotta dal latino cadāver, genitivo cadāveris, che ha avuto come esito originario nell’italiano antico la variante grafica cadavero, con metaplasmo ovvero, nella moderna linguistica, con un ‘fenomeno morfologico per cui una parola passa da una declinazione o da una coniugazione ad altra’ (Vocabolario Treccani online) in questo caso il passaggio alla classe dei nomi in –o (come fascio, sorcio, passero, cfr. LEI e Rohlfs 1968 §353); successivamente si è imposto nella forma oggi in uso cadavere che recupera la declinazione originaria (dall’accusativo cadavere(m)).

Il latino cadāver è presumibilmente connesso al verbo cădere ‘cadere’ (il GDLI rimanda a Isidoro di Siviglia, morto nel 636 d.C., che nelle sue Etymologiae scriveva: “cadaver nominatum a cadendo, quia iam stare non potest”; come non ricordare poi il dantesco e caddi come corpo morto cade), analogamente a quanto accade con il greco ptôma, -atos ‘cadavere’ (ma propriamente ‘cosa caduta’) derivato da pipto ‘cadere’ (DEI). Alcuni dizionari etimologici (l’Etimologico e Avviamento alla etimologia italiana di Giacomo Devoto, Firenze, Le Monnier, 1966) ipotizzano che si tratti di un adattamento di un participio perfetto attivo indoeuropeo in –wes di un possibile verbo *cadare ‘esser caduto (definitivamente)’ rispetto a cădere.

Tuttavia, fino all’Ottocento era in circolazione – e probabilmente lo è ancora oggi, dato che il suggerimento è giunto da un nostro lettore – una spiegazione piuttosto fantasiosa e certamente suggestiva dell’etimologia di cadavere: la ritroviamo ad esempio nel Dizionario enciclopedico delle scienze, lettere ed arti compilato da Antonio Bazzarini e pubblicato a Venezia nel 1830. Secondo questa teoria cadaver deriverebbe dalla contrazione delle prime tre sillabe della frase latina ca(ro) da(ta) ver(mibus), ovvero ‘carne lasciata (in pasto) ai vermi’. È forse il caso di specificare che tale ipotesi, risalente “all’epoca prescientifica dell’etimologia” (LEI), veniva già smentita da molti dizionari ottocenteschi, e ancora da Pianigiani che nel 1907 scriveva nel suo Vocabolario etimologico: “altri ancora (per addurre un esempio di aberrazioni etimologiche) lo traggono dalle prime tre sillabe delle parole CA-ro, DA-ta, VER-mibus carne abbandonata ai vermi”. Un caso analogo di etimologia popolare lo abbiamo visto, ad esempio, per la voce spa.

Per quanto riguarda la data di prima attestazione, il DELI indica prima del 1364 per la variante ormai in disuso cadavero, nei Morali di San Gregorio Magno papa volgarizzati da Zanobi da Strada; l’attestazione, riportata nel GDLI e nel Vocabolario degli Accademici della Crusca – che già dalla prima edizione del 1612 mette a lemma la variante cadavero -, fornisce l’indicazione etimologica poi ripresa dai dizionari: “Il cadávero si dice, secondo i gramatici, da cadére“. Per cadavere invece il DELI indica il 1623, in un testo di Giovan Battista Marino. La forma cadavere compare nella lessicografia della Crusca solo a partire dalla terza impressione, pubblicata nel 1691, all’interno delle voci andare (andare al morto) e portare (portare l’arme alla sepoltura), ma viene messa a lemma, accanto alla forma cadavero, solo nella quarta (1729-38) e nella quinta (1863-1923) impressione. Le attestazioni riportate nel GDLI anteriori al XVII secolo presentano tutte la variante cadavero, mentre quelle posteriori riportano sempre cadavere. Tuttavia, nel corpus TLIO possiamo già trovare 3 occorrenze della forma, coerente con il latino, cadavere in due testi, uno duecentesco di provenienza senese (1 occorrenza, che il TLIO identifica come prima attestazione), l’altro trecentesco di area pisana (2 occorrenze):

Come Erittona fece i suoi incantesimi sul cadavere che avea trovato; e come pregò tutti i principi d’inferno perché l’anima ch’era uscita di quel corpo, vi tornasse con potenza di parlare, volendo Sesto conoscere la fine della battaglia (Fatti di Cesare, Anonimo, XIII secolo, L. 6, cap. 20).

Anco è differente la Fede viva dalla morta, come l’animale vivo dal cadavere morto. Chè come il vivo animale si muove, ed ha vigore e valore, così la Fede viva si muove e vivifica l’anima: e per contrario lo cadavere, poniamo, che un poco palpiti, quando di fresco è morto, non è però quel movimento di vita, ma rimane tosto immobile e puzzolente. (Esposizione del Simbolo degli Apostoli, Domenico Cavalca, 1342, L.1, cap. 11).

Nel testo di Cavalca troviamo inoltre un’occorrenza di cadaver riconducibile alla forma con -e, in quanto troncamento dovuto alla presenza della vocale iniziale e nella parola che segue:

Onde dice s. Bernardo: Che cosa è Fede senza amore, se non un cadaver esanime? Ben dunque onori Dio, o Cristiano, facendogli sacrificio sì fetente (Domenico Cavalca, Esposizione del Simbolo degli Apostoli, 1342, L.1, cap. 11)!

Le occorrenze totali nel corpus TLIO sono dieci: 2 per la forma cadaver (ma una in un passo latino), 3 per il plurale cadaveri; 3, già viste, per cadavere e 2 per la variante con metaplasmo cadavero, in due testi trecenteschi fiorentini:

Né vivo poteo essere cacciato, ma morto per molte piaghe, il passaggio sopra il suo cadavero a loro (credo io ancora dopo la morte contra sua volontade) diede (volgarizzamento del De’ fatti e detti degni di memoria della città di Roma e delle stranie genti di Valerio Massimo, Anonimo, 1336, L. 4, cap. 6).

Nello odorato siamo avanzati dallo avoltoio, il quale, secondo i savi, sente il fiato del cadavero centinaia di miglia da lungi (Agnolo Torini, Brieve collezzione della miseria della umana condizione, 1363-63, pt. 2, cap. 16)

Le occorrenze trovate sul corpus TLIO ci permettono, dunque, non solo di retrodatare cadavere, ma anche di constatare che l’alternanza tra le due varianti è presente in italiano dalle origini fino al XVII secolo (e in ambito letterario anche oltre: cadavero si trova, solo per fare alcuni esempi, nella poesia Carnevale di Carducci e nella Storia della letteratura italiana di De Sanctis), quando infine si impone la forma cadavere giunta fino ad oggi.

Nome comune di cosa o di persona (oppure di animale?)

Nei testi scolastici di grammatica, in particolare delle scuole primarie e secondarie di primo grado, i nomi sono definiti attraverso categorie di opposti come: comuni e propri, astratti e concreti </it/consulenza/nomi-astratti-e-nomi-concreti/224>, individuali e collettivi. La distinzione che interessa ai nostri lettori, memori degli insegnamenti scolastici, è però quella che suddivide i nomi nelle tre categorie dette nomi di persona (Mario, dottoressa, nipote), nomi di animale (Yoghi, marmotta, sciame) e nomi di cosa (tavolo, carbonara, intelligenza). Questa schematizzazione mette sostanzialmente in opposizione i nomi che indicano qualcosa di animato (persone, animali) a quelli che qualificano ciò che è inanimato, sia esso astratto o concreto, malgrado la denominazione di cosa rimandi piuttosto a qualcosa di effettivo e materiale. Se possiamo facilmente affermare che cadavere è un nome comune, concreto e individuale, assai più complicato è stabilire se esso appartenga ai nomi di persona o ai nomi di cosa, senza considerare il fatto che, come vedremo, può essere riferito anche ad animali. Alcuni propendono per considerarlo nome di cosa, in quanto dopo la morte il corpo non è più animato, vivo; altri sostengono che, pur trattandosi di una cosa “inanimata”, ogni corpo è stato comunque, in vita, identificabile con un essere senziente e quindi semanticamente collegato a un essere animato. Entrano in campo prevedibilmente le concezioni individuali, le nostre credenze e la nostra cultura. Davanti a ciò, l’unica possibile considerazione è che questo tipo di classificazioni non ha alcuna influenza sull’aspetto morfologico delle parole e, sebbene simili categorie possano essere utili ai giovani studenti per meglio comprendere le basi della semantica e della grammatica, a un livello più profondo di analisi linguistica presentano diversi limiti. Tanto per fare un esempio: in molti si sono lamentati del fatto che nomi di fiori, alberi e piante siano considerati dalle grammatiche scolastiche come nomi di cosa, auspicando “l’istituzione”(!) della categoria “nomi di piante”. L’idea può avere una sua logica, ma che dire allora dei nomi di luoghi geografici? E di tutte quelle parole che esprimono qualità e sentimenti tipici degli esseri umani? E i vocaboli che indicano parti del corpo animale? Per concludere dunque, intendere queste schematizzazioni in modo rigido rischia di impoverire la lingua stessa. Stabilire se cadavere appartenga ai nomi di persona, di animale o di cosa appare vano e finanche riduttivo delle variegate sfumature semantiche di cui il vocabolo è portatore.

Sostantivo o aggettivo?

Dal sostantivo cadavere derivano il diminutivo cadaverino, riferito al cadavere di un bambino, l’aggettivo cadaverico (prima attestazione 1742, cfr. DELI) e l’ormai obsoleto cadaveroso, voce dotta dal latino cadaverosus. Alcuni lettori tuttavia fanno notare l’uso diffuso di cadavere come aggettivo, specialmente in costruzioni tipiche del linguaggio giornalistico del tipo l’uomo è stato trovato/ritrovato cadavere, in cui viene resa implicita la formula trovato/ritrovato (nello stato/nella condizione di) cadavere e, in modo piuttosto naturale, cadavere assume il valore di predicativo del soggetto con il significato di ‘morto, senza vita’. Probabilmente la scelta è guidata proprio dalla volontà di evitare la parola morto; l’uso di cadavere all’interno di lessici specialistici come quello della medicina legale, investigativo o dei romanzi gialli e polizieschi conferisce alla parola un aspetto tecnico dalla minore capacità evocativa rispetto a morto. Negli archivi di “Repubblica” e del “Corriere” troviamo numerosi esempi già a partire dal 1877:

Ieri mattina lo hanno ritrovato cadavere sulla porta del suo ufficio, trafitto da trentacinque colpi di coltello molti dei quali alla gola ed al cuore (Fatti diversi, “Corriere della Sera”, 4/11/1877)

Un agricoltore israeliano è stato ritrovato cadavere ieri mattina a Shekef, un villaggio agricolo nei pressi della frontiera ovest della Cisgiordania, sessanta chilometri da Gerusalemme. Il corpo della vittima, Eliahu Cohen, è stato scoperto nelle prime ore della mattinata. Sul cadavere erano evidenti tracce di violenza, il cranio della vittima è stato sfondato da una sbarra di ferro (Assassinato un colono israeliano, “La Repubblica”, 21/6/1988).

La misteriosa morte di una stella del cinema, trovata cadavere lungo la spiaggia del Lido di Venezia il giorno dopo la serata inaugurale della Mostra del Cinema, è al centro del nuovo romanzo di Antonella Boralevi “Chiedi alla notte”. (Nel cuore della notte, Boralevi racconta una morte a Venezia, “La Repubblica.it”, 19/5/2019).

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