Alla Conferenza di Berlino sulla Libia, Angela Merkel ha ottenuto l’unico accordo possibile con la diplomazia: diminuire l’influenza delle potenze straniere nella guerra civile che da dieci anni dilania la Libia. Cessate il fuoco permanente, embargo sulle armi e un nuovo governo di unità nazionale sono i tre impegni principali nell’elenco dei 55 punti firmati da tutti i Paesi coinvolti in modo formale o informale nella crisi libica. Era la prima volta che tutti insieme si riunivano in una stanza per discutere del futuro del Paese. «Sappiamo di non aver potuto risolvere tutti i problemi», ha detto Merkel, e ha ragione. Perché né il generale Khalīfa Ḥaftar sostenuto da Stati Uniti, Francia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti che controlla la Cirenaica, la zona est della Libia, né Fāyez al-Sarrāj, il capo del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu e appoggiato militarmente dalla Turchia hanno firmato l’accordo, né hanno accettato di stare nella stessa stanza.
Ma questo incontro è stato il primo vero passo per poter trovare una soluzione politica perché le potenze che influenzano i due contendenti per la prima volta hanno condiviso una linea politica comune. E senza Egitto, Turchia, Emirati, Arabia Saudita o Russia a rifornire di armi e uomini Haftar e al-Sarrāj, la guerra in Libia rimarrà un conflitto locale, e sempre meno un problema macro regionale in grado di destabilizzare l’equilibrio globale. La chiave per capire quanto durerà la tregua sarà la nascita del comitato militare congiunto da cinque membri di ciascuna delle due fazioni in lotta che sotto il controllo delle Nazioni Unite dovrà monitorare il cessate il fuoco e l’embargo delle armi, troppe volte annunciato ma mai rispettato.
Rimane anche il dubbio sul nuovo governo di unità nazionale. Il nuovo premier sarà sempre al-Sarrāj o un personaggio meno inviso ad Haftar? Sembra difficile credere che dopo aver conquistato città su città, il generale possa rinunciare al suo nuovo status internazionale (vi ricordate quando pochi mesi fa era trattato come un semplice ribelle?) e più prosaicamente al controllo dei pozzi di petrolio. Così come sembra improbabile che il premier turco Recep Tayyip Erdoğan dia il ben servito al suo protetto al-Sarrāj, l’unico garante degli accordi con Ankara per lo sfruttamento dei giacimenti di gas di fronte a Tripoli. Non a caso Grecia, Cipro ed Egitto guardano con interesse agli sviluppi per potersi inserire e contrattare accordi vantaggiosi col nuovo governo di unità nazionale.
Ci sono tanti “se” e tanti attori che devono fare la loro parte. Non basta una politica a cambiare il mondo, ma Merkel ha dimostrato che nell’era dei bulli globali sono due le armi più forti per risolvere una crisi: pragmatismo e credibilità. Per riunire tutti gli attori della crisi libica in una stanza c’era bisogno di una leader credibile e “terza”, una delle poche a essersi opposta all’attacco contro il regime di Gheddafi nel 2011. Oltre Trump che ottiene solo topolini dopo aver smosso montagne e l’inconcludenza dell’Unione europea, incapace di trovare una sintesi comune, la Germania è l’unico paese dell’Occidente con una visione chiara, complessiva e pragmatica dei dossier mondiali. Da quando è diventata cancelliera nel 2005 Merkel ha dimostrato di essere il centro di gravità permanente del multilateralismo: nessuno strappo o minaccia, solo soluzioni ponderate, mediate e condivise, spesso sotto l’egida delle Nazioni Unite. E soprattutto sa quanto sono stretti i confini della diplomazia. I risultati si conquistano un passo concreto alla volta.
«Non mi faccio illusioni, la strada è ancora difficile, ma il vertice si è svolto in un clima costruttivo», ha detto Merkel presentando le conclusioni dell’accordo. E qui si vede tutta la differenza con Giuseppe Conte il cui più grande successo diplomatico è stata la photo opportunity nel vertice di Palermo nel novembre del 2018 in cui ha fatto stringere la mano ad al-Sarrāj e Haftar come Silvio Berlusconi con George W. Bush e Putin a pratica di mare nel 2002. Ma subito dopo quell’incontro l’Italia ha raccolto troppo poco. Con i piedi in due staffe ha perso il ruolo di partner strategico di al-Sarrāj che aveva chiesto sostegnomilitare oltre che politico ed è stato conquistato da Erdogan e non è riuscita a entrare nelle grazie di Haftar che deve molto ai mercenari del gruppo Wagner guidati in modo informale dal Cremlino. In mezzo al guado ha perso anche il ruolo di perno neutrale che in questo momento è rappresentato dalla Germania. Per questo motivo durante la foto di gruppo alla Conferenza internazionale sulla Libia a Berlino, il presidente del Consiglio ha cercato invano il suo posto in prima fila. Non c’era. Per lui solo la seconda fila.