Il naufragio del capitanoDal Papeete all’Emilia, la parabola discendente di Salvini frame by frame

Dalle elezioni anticipate mancate, al referendum elettorale, passando per la strigliata di Conte e le questioni in tema di giustizia. Le grane sono molte. E la colpa è anche di quel mojito a Milano Marittima

«Il Pilastro è il secondo Papeete di Salvini». Così Virginio Merola, sindaco di Bologna, chiude e racchiude in una sintesi finale una campagna elettorale, quella del golden boy leghista, capace di portarlo in cielo e poi inabissarlo nel giro di pochi mesi. Ebbene sì, anche Salvini è fallibile: lo è dove la politica ha ancora un valore predominante nella vita dei cittadini, lo è perché in fondo la dialettica delle scorciatoie propagandistiche non può durare in eterno, lo è da quel mojito di troppo sulle spiagge di Milano Marittima.
Tutto, infatti, ha inizio lì e fine nella risposta non pervenuta ai citofoni dell’Emilia Romagna.
Il Matteo Salvini del tutto e subito, dai consensi quasi renziani e una leadership di ferro sul centrodestra, adesso deve fare i conti con una coscienza, ora della maggioranza, ora degli alleati, che rispettivamente auspicano, dopo lo stop alle ultime regionali, un’inversione di tendenza a livello nazionale, e uno spazio di manovra dove riprendere fiato ed elettori.
«Rifarei tutto, anche quello», ha assicurato il leghista riferendosi al fatto del citofono. Refrattario alla realtà dei risultati o forse appositamente sornione, Salvini non può fare a meno di incassare la voce emessa a Pilastro, il quartiere alla periferia di Bologna nel quale aveva improvvisato il blitz al citofono della famiglia d’origine tunisina, dove hanno votato in massa a sinistra. Bonaccini ha preso il 65%, il Pd il 41%, mentre la Lega si è fermata al 19% e Borgonzoni al 29. Idem a Bibbiano, eletta dal leghista come “capitale della campagna elettorale”, dove i 5.300 cittadini hanno preferito votare Stefano Bonaccini e il centrosinistra.
Insomma, l’incessante attività di Salvini tra una piazza e un selfie si è rivelata figlia di slogan scorretti e di una tattica sui social troppo provocatrice. Il risultato, oltre a quello elettorale? Il video in cui citofona alla famiglia tunisina è stato addirittura rimosso da Facebook perché in contrasto con le norme in materia di «incitamento all’odio» (nel frattempo la famiglia sta procedendo per vie legali nei confronti dell’ex ministro dell’Interno), mentre la semplificazione dei problemi, tra cui sicurezza e lavoro, non ha fatto breccia in una regione che, per senso pratico innato, ha bisogno di più contenuti e meno racconti del terrore.
Vittoriosa ma meno brillante è stata anche la partecipazione alle altre regionali, quelle in Calabria: le percentuali della Lega a confronto con i risultati raggiunti nella stessa regione per le europee, parlano di un consenso quasi dimezzato (22,61 per cento contro il 12,3 per cento di domenica).

Proprio da quest’ultimo scalino scivoloso, emerge pertanto il cammino, precario già da tempo, del capo leghista. I dolori del non più troppo giovane Salvini iniziano proprio al Papeete, quando la priorità era quella di far cadere il governo e andare a elezioni anticipate, dopo aver stracciato un contratto che lo vedeva subissare il partner in lungo e largo; uno scatto in solitaria che per molti resta ancora incomprensibile. Ad oggi: il governo è vivo e vegeto. Il flop di un accordo che per tanti era già concluso con l’altro Matteo, le suppliche verso l’allora leader pentastellato, e l’umiliazione in pubblica piazza per bocca del premier Conte sono soltanto il riscaldamento per un girone di ritorno a dir poco glaciale.

Poco importa la vittoria in Umbria, avvenuta più per merito dell’autolesionismo applicato dal Pd, causa le dimissioni del presidente Catiuscia Marini a seguito di una serie di inchieste e arresti riguardanti il sistema sanitario della Regione, che per virtù leghiste. La sensazione è quella di un’architettura senza fondamenta, senza alcuna prospettiva, costruita per affrontare le battaglie sbagliate: la Lega di Salvini ricorda l’infante disinteressato ma pronto, perché incapace di frenare gli istinti, a praticare intolleranza verso qualsiasi mossa che sfugge al suo controllo. Vedi la forzatura del referendum elettorale, bocciato dalla Corte di Cassazione.
C’è poi l’altro referendum, quello confermativo sul taglio dei parlamentari. Salvini lo ha votato e fatto votare, ricordandolo anche durante un comizio in Calabria: il voto costerà circa 300 milioni agli italiani e, salvo sorprese, dovrebbe avere un esito già stabilito, in opposizione a quanto espresso da Salvini stesso.
È poi la volta della coltellata inflitta dagli ex alleati in terreno europeo dove, solo qualche giorno fa, hanno votato il Global compact in aula a Strasburgo. L’emendamento, presentato dall’eurodeputato del Pd Pierfrancesco Majoirino e co-firmato dai dem Andrea Cozzolino e Giuliano Pisapia, dice sì al piano delle Nazioni Unite per una “immigrazione ordinata”. Lo stesso Movimento Cinque Stelle, nel 2018, sulla spinta leghista, portò l’allora governo Conte a non partecipare alla conferenza di Marrakesh per firmare lo stesso accordo.

L’Emilia Romagna, anche per questo, era una sorta di ultima chance per dimostrare a tutti chi comanda e magari spostare vecchie amicizie diventate inimicizie a livello parlamentare, di nuovo, dalla parte dei sostenitori. Un appuntameto regionale trasformato nell’ennesimo referendum nazionale (finito male), per poi dire “ehi, stavo scherzando, abbiamo perso ma non conta”, ha di fatto messo Salvini in una posizione di crisi.

Gli errori del capo, in grado di perdere e mai sopra legge, che sia questa di carattere politico o giuridico, e gli schianti nei luoghi simbolo – dal Papeete in poi – mostrano le lacune di una strategia troppo incline a coltivare l’idea di un nemico. È bene infatti ricordare che il 17 febbraio la richiesta di processare Salvini sarà discussa dall’aula intera del Senato. Un boomerang che il leghista potrebbe aver sottovalutato, sia il Pd sia il Movimento Cinque Stelle sia la Lega si sono espressi a favore del processo, a fronte del risultato deludente in Emilia-Romagna. La Lega potrebbe decidere di cambiare posizione e votare contro, certamente, così come potrebbe fare il Movimento Cinque Stelle per evitare guai più grossi, ma se anche il Senato dovesse approvare definitivamente l’autorizzazione, il Capitano avrebbe un’altra grana da sbrogliare nel suo carnet. Alla quale, per giunta, si aggiungono le elezioni in Toscana, Puglia, Campania e Marche, nelle quali il centrodestra, da una parte l’emergete Meloni e dall’altra il redivivo Berlusconi, potrebbero dettare liste e gerarchie. Detto ciò, non può essere tutto qui, in quanto, come descrive la voce narrante all’inizio del film L’odio, per Salvini il vero problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

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