Fare cappotto. Non è dato sapere se sia un bel cappotto o meno ma a prescindere dall’estetica dello stesso, “fare cappotto”, si sa, significa vincere in maniera clamorosa. La prima serata della settantesima edizione del Festival di Sanremo ce l’ha messa tutta per aggiudicarsi il paltò come fosse il Sacro Graal. Basti pensare all’onnipresenza di Fiorello che ha aperto la kermesse calato nell’abito talare di Don Matteo con lo scopo di assolvere l’amico Amadeus, conduttore nonché direttore artistico di questa edizione, dal suo peccato di ripetere ossessivamente alle donne che sono belle, soprattutto in conferenza stampa.
Ci sono naturalmente anche le prime dodici canzoni che, per la gioia di quante più generazioni possibili, spaziano dal trash-pop al rap passando per le ballate d’antan e la lirica da talent. Il compito di votarle, per questa prima serata, è stato affidato alla giuria demoscopica che sul finale piazza Le Vibrazioni sul gradino più alto del podio provvisorio con grande sorpresa del pubblico tutto, già immemore del fatto che la band stesse attivamente partecipando alla gara. Si contino poi le tante donne sul palco, ognuna con una storia, un talento, un carisma da sfoggiare insieme al bel vestito e al comune terrore per le scale dell’Ariston. Femminile ma con impegno moderato, nato per compiacere un po’ tutti rifuggendo agli aggettivi superlativi come alle critiche, questo #Sanremo70 risulta del tutto adeguato. E appunto per questo non fa cappotto, al massimo fa tailleur.
E via, allora, con tutto ciò che dovrebbe esserci al Festivàl: Al Bano e Romina che intonano Felicità in un vorticoso medley che qualsiasi essere vivente nato su suolo italiano saprebbe canticchiare gioiosamente già dopo il primo vagito, i testi dei brani in gara che parlano d’amore col solito brio da domenica mattina al borgo natio, il tentativo di scandalo incarnato dalla persona di Achille Lauro che si presenta sul palco intabarrato ma che, con l’esplodere del ritornello di un pezzo che è la versione slo-mo di Rolls Royce, rimane in déshabillé ricordando molto da vicino, per potenza vocale e somiglianza fisica, un raro esemplare di gatto nudo egizio caduto in una pozza di catrame. Rita Pavone sciorina con la voce che ancora possiede una canzone sul Niente con la N maiuscola, mentre Diodato incita, bisbigliando, a fare rumore. A farlo davvero pensano, oltre al già citato Lauro, il trionfatore di X Factor 2018 Anastasio che mette in fila una pandemia di potentissime parole a raffica e l’inedita coppia composta da Bugo e Morgan, malgrado l’intonazione lasciata in qualche remoto anfratto dell’universo conosciuto, tra Monza e Kuala Lumpur. Clamorosamente, stecca perfino Tiziano Ferro, sempre più uno di noi, e lo fa proprio su Almeno tu nell’universo: con la voce rotta dall’emozione rincorre le parole che gli sono scappate ma ormai è tardi. Questo inciampo è, indubbiamente, il momento più emozionante dell’intera serata.
A proposito di emozione, sia detto che: «Perdonatelo, non sa cosa sta facendo», è la preghiera che Fiorello rivolge spesso e volentieri al pubblico sovrano nel tentativo di intercedere per l’amico Amadeus che dal canto suo non ha fisicamente il tempo di sbagliare qualcosa: due o al massimo tre sono i secondi totali in cui rimane da solo sul palco. Questo basta per dare l’idea di una sorveglianza sorridente ma indefessa che rende lo showman siciliano vero e proprio governo ombra dell’intero Festivàl. Nessun conduttore prima di Amadeus era mai stato seguito quando non proprio dileggiato così in diretta dalla riviera durante la Santa Settimana Sanremese. Niente vieta di pensare, però, che questo piccolo strappo alla sacra liturgia non sia altro che un’ottima strategia-paracadute: Fiorello ridendo e scherzando, parlandogli da amico, ha già fatto al conduttore della kermesse tutte le critiche più feroci dalle battute sull’aspetto fisico allo spauracchio di perdere il lavoro qualora non dovesse raggiungere la giusta percentuale di share all’Ariston. Nei fatti, Fiorello ha bruciato così qualsiasi cattiveria che sarebbe, non si sa mai, uscita sui giornali all’indomani della prima serata.
Poteva andare peggio? Sì, chiunque abbia guardato questa prima maratona sanremese non può che aver tirato un sospiro di sollievo. Nonostante le canzoni, almeno ad un primo ascolto, perfettamente dimenticabili. Note dolentissime anche le parole intrise di retorica di Diletta Leotta e Rula Jebreal. La prima avvince con un monologo tanto effimero quanto surreale sulla bellezza naturale e il tempo che passa dedicato a sua nonna, presente nelle prime file del teatro e visibilmente assonnata. La seconda racconta la propria infanzia difficile tra orfanotrofio e guerra (e l’atroce vissuto materno) per poi schierarsi contro la violenza sulle donne citando canzoni di Vasco e De Gregori. Niente che non sia, insomma, perfettamente riconoscibile come rassicurante dal pubblico di Rai 1. Se la rappresentazione delle donne, dei conduttori e delle canzoni data da questa prima serata del Festivàl fosse un abito sarebbe sicuramente un tailleur: non stupisce ma se la cava, fa il suo barricato nel proprio formidabile anonimato che non impensierisce i benpensanti come nemmeno le malelingue. Ovvero è quasi tutto l’esatto opposto di ciò che le donne, i conduttori e le canzoni dovrebbero essere.