A Sanremo 2020 è Covervirus. La terza serata della settantesima edizione del Festivàl supera le cinque ore di angosciosa prolissità facendo scoppiare sul palco dell’Ariston una pandemia di stecche, lungaggini, Georgina Rodriguez e moltissime altre roboanti sciagure che, fino a ieri, eravamo ben contenti di non aver visto infestare il palco della kermesse. Se durante le prime due serate Amadeus ha realizzato i sogni più inconfessabilmente nazional-popolari del pubblico sanremese, giovedì 6 febbraio, complice un Fiorello latitante, il conduttore e direttore artistico della kermesse fa pagare pegno dando vita all’incubo peggiore di tutti gli aficionados del Festivàl: la Noia.
Servita in 24 esibizioni, dieci di più rispetto alle tradizionali stazioni della via crucis, la Noia si manifesta come principale sintomo del Covervirus. Pervicace e trasversale, scuce via la voglia di divertirsi alla quasi totalità dei cantanti in gara che ancora prima di iniziare a stonare, fissano con sguardo vitreo la platea del teatro restituendo performance quando va bene senz’anima, che qui analizzaremo non in ordine di scaletta ma di gravità.
Il premio Suspiria se lo aggiudica Levante che, insieme a Francesca Michielin e Maria Antonietta, dà vita a una spettrale Si può dare di più trasformata nella ballad di cui nessuno che non si nutra di code di rospo sentiva il bisogno. Spiace che questo Festivàl stia rischiando di fare più danni di X Factor all’immagine della – seppur brava – Claudia Lagona.
Vestito come uno che è appena stato scartato al provino per il ruolo di stalliere ne Il Segreto e non ha avuto il tempo di cambiarsi, Riki ripropone in duetto con Ana Mena L’Edera di Nilla Pizzi. Perfomance non pervenuta, come anche quella di Elodie su Adesso tu e, spiace dirlo, della coppia Marco Masini e Arisa coraggiosissimi su Vacanze Romane. Rosalba Pippa ha una voce incantevole, ma il paragone con la Ruggiero non può vincerlo.
A proposito di sconfitte, veniamo al tenorino Alberto Urso che passerà la vita a voler diventare il quarto de Il Volo. È così soporifero da riuscire a disinnescare perfino Ornella Vanoni che, forse per la prima volta da anni, conclude l’esibizione senza insultare nessuno.
Buona invece l’energia di Anastasio che si cimenta con Spalle al Muro insieme alla PFM portando a casa un risultato che non fa sanguinare pure le stanghette degli occhiali a chi lo ascolta, quindi ben superiore alla media di questa serata. Di classe ma insipidini Raphael Gualazzi e Simona Molinari con E se domani, mentre molto potente – forse pure troppo – Rancore con La Rappresentante di Lista che regalano una versione di Luce (Tramonti a Nord-Est) in cui il sole più che tramontare scappa via spaventato dalla foga degli interpreti: sembrano volergli menare.
La febbre del Covervirus sale alle stelle e contagia pure Roberto Benigni che, in un raptus di sadismo, decide di coverizzare la Bibbia per quaranta minuti, vittimizzando “Il Cantico dei Cantici”. L’esegesi preliminare del testo passo per passo, virgola per virgola, capriolo per capriolo, ne avrebbe ucciso la declamazione a prescindere, pure se fosse stata fatta bene. Figuriamoci così. C’è chi ne approfitta per farsi un sonno ristoratore mentre quando viene inquadrata la platea dell’Ariston, le telecamere intercettano puntualmente qualcuno che fugge alla chetichella per i corridoi del teatro, direzione uscita di sicurezza.
Per i pochi rimasti svegli, la gara prosegue provocando perlopiù sbadigli e smarrimento anche se i Pinguini Tattici Nucleari riattivano il battito cardiaco del pubblico con uno scellerato medley di sette brani che hanno fatto la storia del Festivàl da Papaveri e Papere a Rolls Royce. Controverso, per talento e per posa, Achille Lauro pittato da David Bowie – Ziggy Stardust – omaggia Mia Martini insieme ad un’Annalisa in gran spolvero vocale: la loro versione de Gli Uomini non cambiano ha fatto aggrottare più di un sopracciglio, ma è sicuramente d’impatto.
Mentre l’ora si fa sempre più tarda, scorrono esibizioni così così fino alla rivelazione: Diodato in coppia con Nina Zilli dà vita a una versione incredibile di 24mila baci tra coreografie che vedono il cantante proseguire la propria performance canora per aria, innalzato dal corpo di ballo come Simba da Rafiki. Le Vibrazioni uccidono Un’emozione da poco, Tosca vince la serata con Piazza Grande e un Morgan infuriato con non si è ancora capito bene con chi, procede nel proprio auto-sabotaggio facendo a pezzi Endrigo sotto agli occhi di Bugo, che ha la faccia di uno che non ha ancora capito dove si trova.
Dopo un’incolore – ma intonatissima – Irene Grandi, è tempo di un Piero Pelù loco che canta Cuore Matto correndo per l’Ariston nel folle ma coraggioso tentativo di defibrillare tutti i presenti uno ad uno. E quasi ce l’avrebbe fatta se non fosse stato per il pronto intervento di Elettra Lamborghini e Myss Keta: vederle all’opera sulle note di Non succederà più è stato, acusticamente e moralmente, come assistere impotenti a un kamikaze che si fa esplodere davanti a un gattile di Quarto Oggiaro. Sul finale, sembra sia stato avvistato un Francesco Gabbani in tuta da astronauta con bandiera tricolore in mano ma potrebbe essere stata un’allucinazione di massa da Covervirus come, è l’unica spiegazione possibile, tutto il resto della serata.