Dal Super Tuesday è emerso un altro chiarimento: riguarda le etichette ideologiche di “moderato” e “progressista”, diventate ormai grottescamente fuorvianti. La corrente “moderata” del Partito Democratico fa suo e sostiene in ampia misura l’accesso degli afro-americani al potere politico. Quella “progressista” fa suo in maniera ristretta l’accesso degli afro-americani al potere politico e non lo sostiene in nessun modo. La corrente “moderata” è, parlando dal punto di vista razziale, profondamente integrata. Quella “progressista” è integrata in misura marginale.
In riferimento alla singola peggiore falla della società americana, la corrente “moderata” riproduce, nella sua struttura politica più profonda, una riforma della vita americana. Quella “progressista” per quanto riguarda la stessa questione, non ne presenta nessuna. La corrente “moderata”, incorporando la classe politica nera, mette in pratica la riforma che predica. Quella “progressista” si limita a predicare.
Si potrebbe allora dire che se nel Partito Democratico è presente una corrente genuinamente progressista, questa è quella composta dalle persone (o da alcune di loro, comunque) catalogate sotto il nome di “moderati”. E che se è presente una corrente genuinamente conservatrice, questa è quella composta dalle persone raggruppate sotto la sigla di “progressisti”. La realtà la vedono tutti, anche se tutti continuano a servirsi di queste etichette ingannevoli.
Vivete in una città che ha un quartiere hipster, cioè a stragrande maggioranza bianco e con un livello di istruzione universitario, e tanti altri quartieri a stragrande maggioranza neri? I bianchi abbienti sono i “progressisti”, i neri i “moderati”.
I bianchi “progressisti” pensano che i neri non riescano a comprendere i loro stessi interessi. I neri “moderati” pensano invece che i bianchi “progressisti” facciano parte del problema. Chi ha ragione? I neri “moderati”, ovviamente. Gli afroamericani vogliono essere inclusi nei settori del potere. La corrente “progressista” ne sarebbe contenta ma, chissà come, lo riesce a fare solo in modo sporadico. È invece quella “moderata” che, in via sistematica, lavora per l’inclusione gli afroamericani.
Quattro anni fa Bernie Sanders ha ricevuto il 13% dei voti dei neri del South Carolina. Quest’anno, dopo quattro anni di impegno politico, ha ricevuto il 17%. Quattro anni fa, in South Carolina, Bernie non è riuscito a imporsi contro Hillary Clinton. E quest’anno non è riuscito a imporsi contro Joe Biden. Perché? Semplice: quando Bernie chiede il vostro sostegno, sta chiedendo in realtà la vostra totale sottomissione al suo programma. Quando i Democratici “moderati” chiedono agli elettori il loro sostegno, in realtà li stanno invitando a unirsi a una coalizione, dove anche la loro voce conterà qualcosa.
Il rappresentante democratico James Clyburn, il politico più potente dell’America nera, ha sostenuto Biden in South Carolina perché – ha avuto modo di spiegare – crede che Bernie sarebbe un nuovo George McGovern, come nelle elezioni del 1972: porterebbe il Partito Democratico verso una sconfitta epocale. Io però tendo a credere che Clyburn abbia dato il suo endorsement a Biden anche perché ha compreso che, in questo modo, si sarebbe garantito una certa influenza nella futura amministrazione Biden. Penso che, votando come Clyburn ha consigliato loro di fare, i neri del South Carolina abbiano compreso che, in una amministrazione Biden il loro peso, esercitato da Clyburn, avrebbe contato parecchio. Bernie ha offerto loro programmi, cioè promesse. Biden ha offerto loro potere.
I “moderati” allora, sono i progressisti. I “progressisti” sono i conservatori. Sembra che ormai siano in tanti ad averlo capito. Il Partito Democratico degli Stati Uniti di oggi è il partito progressista. Di conseguenza le masse democratiche hanno votato con numeri sorprendenti per i “moderati”. Il successo di Joe Biden nel Super Tuesday è una vittoria per il progressismo. Ma il linguaggio politico americano, con le sue concezioni su chi sia “moderato” e chi sia “progressista”, lo rende difficile da vedere.
(Questo articolo è uscito in inglese su Tablet magazine)