Il contante resta ancora il mezzo di pagamento più apprezzato (definito “per tutti” e “semplice” rispettivamente dal 53.9 per cento e dal 45.4 per cento degli intervistati) e il più usato (uso frequente per il 71.6 per cento). Mentre la carta di credito e il bancomat sono ancora poco usati dagli italiani rispetto ad altri Paesi europei (Danimarca, Svezia, Regno Unito su tutti).
L’approccio ai nuovi strumenti di pagamento digitali risente della capacità di usare la tecnologia. Tradotto: all’aumentare delle competenze digitali corrisponde una maggiore consapevolezza sugli smart payment non solo in termini di aspettative positive, ma anche in termini di attenzione ai possibili pericoli insiti nelle nuove possibilità.
Queste sono tra le novita più interessanti della ricerca “Digitalizzazione e Consapevolezza Finanziaria”, l’indagine a cura del Museo del Risparmio di Intesa Sanpaolo ed Episteme. Il report che si basa su dati di dicembre 2019 cerca di capire quale fosse il livello di digitalizzazione qualche settimana prima del lockdown o se i servizi digitali hanno ripercussioni significative sull’inclusione economica finanziaria e in generale sulla consapevolezza nell’uso del denaro personale.
I dati del rapporto ci mostrano un quadro meno tragico rispetto ad alcune ricerche internazionali che posizionano gli italiani al fondo delle classifiche sulla digitalizzazione, ma con una forte disomogeneità in termini di alfabetizzazione tecnologica sia tra le diverse fasce sociali sia relativamente al suo impatto sulla fruizione di beni e servizi, tra cui quelli bancari.
«In tempi di incertezza, la ricerca di soluzioni porta ad accelerare la sperimentazione e all’adozione di nuovi paradigmi
sociali ed economici. Si tratta di trasformazioni che richiedono competenze maggiori rispetto a postare un commento,
una foto o mettere un like. Non possiamo, però, dare per scontato che la corsa in avanti verso la digitalizzazione sia
inclusiva», spiega Giovanna Paladino, Direttore Museo del Risparmio Intesa Sanpaolo.
«Sono diverse le categorie che potrebbero rimanere indietro sia per la mancanza di familiarità tecnologica sia per la mancanza di consapevolezza nella gestione del denaro, che in periodi di crisi fa sentire più pesantemente le sue conseguenze».
Per i segmenti più fragili (donne, meno giovani, basso istruiti e persone con basso reddito) le barriere di accesso agli strumenti tecnologici restano forti, contribuendo a un ulteriore rallentamento dei processi di inclusione. La digitalizzazione dei prodotti economico-finanziari sembra dunque per il momento favorire l’empowerment di chi ha già maggiori competenze e maggiori risorse, mentre stenta a intercettare i segmenti con meno mezzi cognitivi e materiali a disposizione.
Lo strumento preferito per effettuare le operazioni online è ancora il Pc (risponde cosi il 44.5 per cento degli intervistati) per due motivi. la dimensione dello schermo (62.4 per cento), la comodità della tastiera (58.4 per cento). Ma anche lo smartphone che dimostra maggiori potenzialità, grazie a tre specifiche caratteristiche: è sempre con noi (per il 69.8 per cento); è personale (25.2 per cento); è sempre connesso (24.3 per cento).
Lo smartphone non solo è la prima alternativa per chi non ha a disposizione un pc (perché non fa un lavoro alla scrivania, perché
non lo sa usare, perché non ha la connessione internet a casa, ecc.), ma può trasformarsi nell’entry point sia in termini di operatività finanziaria che di alfabetizzazione economica.
L’autovalutazione delle competenze digitali, incrociata con la misurazione di ciò che effettivamente gli intervistati sanno fare, porta alla luce un fattore di rischio significativo: oltre a chi sa di essere insufficientemente preparato, esiste un gruppo di intervistati, pari all’8.8 per cento, che sopravvaluta le proprie competenze, percependosi molto più capace di quanto non sia in realtà. Questa errata autopercezione può essere molto pericolosa se si combina alla sottovalutazione delle insidie della rete. Si pensi ad esempio
alla facilità con cui circolano le fake news e agli effetti che possono avere sui processi decisionali degli user internet.
La minore indipendenza economica delle donne si associa direttamente all’andamento di altri indicatori: solo il 67.2 per cento delle donne ha un conto corrente che gestisce in totale autonomia (contro l’81.6 per cento degli uomini). Mentre il 18.1 per cento non ha un conto corrente (contro il 7.9 per cento degli uomini). Ma la percentuale aumenta a 10.6 per cento tra le donne nella fascia di età 25-44).
Rispetto agli uomini è più bassa anche la quota di chi si ritiene una persona molto o abbastanza informata in ambito economico-finanziario (il 50.7 per cento delle donne vs il 64.5 per cento degli uomini) e di chi investe denaro (il 26.7 per cento delle donne ha soldi investiti vs il 43.6% degli uomini).
L’insieme di questi fattori costituisce una barriera che allontana le donne dalla gestione attiva del risparmio e dall’uso dei nuovi servizi digitali, alimentando ad esempio maggiori timori nell’uso degli smart payment e un maggior scetticismo verso la possibilità che le nuove tecnologie possano aumentare la consapevolezza economico-finanziaria (ci crede il 45.8 per cento delle donne vs il 51.9 per cento degli uomini).
Nonostante il campione sia composto da individui che hanno familiarità con internet, una parte ancora consistente di popolazione nutre uno spiccato scetticismo verso le nuove tecnologie digitali. Si tratta di persone che non usano i nuovi strumenti digitali e non li trovano utili per aumentare la propria alfabetizzazione economico-finanziaria (il 51.3 per cento).
«La fotografia, scattata a dicembre 2019 da questa indagine, mostra chiaramente che l’attenzione ai gruppi di persone fragili dovrà essere massima, perché in un possibile contesto di riduzione delle risorse economiche, e di distanziamento sociale prolungato, non avere strumenti digitali adeguati, non essere alfabetizzato né digitalmente né finanziariamente alimenta situazioni di grande disagio e un peggioramento dell’attuale quadro delle disuguaglianze. Solo politiche mirate, che accanto al sostegno economico, prevedano forme di inclusione digitale possono consentire di fare il necessario salto in avanti in modo repentino», spiega Paladino.
«Nel momento dell’emergenza, la suggestione virtuale da gioco deve trasformarsi in efficiente organismo vivente. La tecnologia di cui abbiamo bisogno è oggi, più che mai, quella diffusa e reale che può elevarsi a bene comune come l’aria e l’acqua».