Emmanuel Macron non è un leader dotato di grande empatia. Quella poca che è sino ad oggi riuscito a trasmettere è stata spesso abilmente costruita. Eppure nel discorso rivolto ai francesi ieri sera (il terzo dall’inizio della crisi del coronavirus) è parso diverso. O la situazione ha fatto maturare qualcosa in lui, o le sue doti di attore sono davvero mirabili. Forse entrambe le cose.
Come insegna il metodo Stanislavskij, la comunicazione degli stati d’animo passa attraverso l’attivazione di esperienze emotive riposte nella propria memoria esistenziale. Quindi, anche se abile attore – con una gestualità particolarmente marcata rispetto al consueto e una espressività del volto, dello sguardo, anch’essa più capace di muovere reazioni in chi lo segue – è parso in grado di mettere in gioco un coinvolgimento di particolare profondità. Comunque sia, si è avvicinato a quella dimensione del tragico che sta attraversando le nostre società e che le classi dirigenti occidentali sembrano non essere più in grado di cogliere e quindi di rappresentare.
Poi vi sono i contenuti. Gli studiosi della gestione della crisi ci hanno spiegato che nella comunicazione di crisi, anzi, ancor di più, nel processo di meaning-making, ovvero il tentativo di «ridurre l’incertezza pubblica e politica e ispirare fiducia nei leader che devono gestire la crisi attraverso l’elaborazione e l’imposizione di una narrativa convincente», i leader sono impegnati nello sforzo di «formulare un messaggio che offra una definizione autorevole della situazione, fornisca speranza, mostri empatia per le vittime e assicuri che le autorità stanno facendo del loro meglio per minimizzare le conseguenze della minaccia» (Boin, t’Hart, Stein, Sundelius, The Politics of Crisis Management, 2017).
Tutto questo ha informato il messaggio di Macron ai suoi concittadini. Partiamo dalla notizia. Le restrizioni proseguiranno sino a lunedì 11 maggio, ovvero ancora per un mese. La riapertura sarà però condizionata al proseguire del rallentamento della propagazione del virus. All’ulteriore sforzo chiesto ai francesi («mi rendo pienamente conto, nel momento stesso in cui ve lo chiedo, dello sforzo che vi chiedo») corrispondono però nuovo impegno per alleggerire il peso economico della crisi e ogni settore, ogni problema, è accuratamente citato.
Al tempo stesso, per la progressiva ripartenza prevista dall’11 maggio, che contempla la riapertura di diversi settori produttivi e commerciali, il governo francese si impegna con una tabella di marcia, sempre restando fondamentale il corrispettivo miglioramento della situazione sanitaria. Le scuole riapriranno, ma non l’insegnamento universitario, secondo rigide regole di sicurezza, i luoghi come bar, ristoranti e teatri in questa fase rimarranno ancora chiusi, i grandi eventi non potranno tenersi almeno sino a metà luglio. La situazione sarà monitorata ogni settimana per adattare le misure e tenere informati i francesi.
Agli anziani e a persone con problemi di salute sarà chiesto di rimanere, almeno in un primo tempo, ancora confinati nelle loro abitazioni. Accanto a tutto questo dal momento della progressiva riapertura l’impegno del governo è quello di procedere a un uso intensivo di test (coinvolgendo tutti i laboratori pubblici e privati e con l’obiettivo di essere in grado di testare dall’11 maggio tutti coloro che presentano anche un solo sintomo) e al tracciamento, così come alla distribuzione di mascherine per i cittadini, differenziate a seconda dei ruoli e il cui uso in talune situazioni, come sui trasporti pubblici, diverrà ‘sistematico’ (immaginiamo obbligatorio). Il piano, nei dettagli e basato su questi principi, sarà presentato dal governo tra quindici giorni.
Ammettendo che non è possibile dare risposta al quesito su quando si potrà tornare alla vita di prima, Macron ha comunque finalmente indicato una direzione e le tappe sulle quali per ora è sensato ragionare, insistendo sulla necessità di monitoraggio e adattamento continui. Un leader che non traccia una direzione, d’altro canto, non è un leader e nel tempo una tale mancanza rischia di sottrargli credibilità e conseguentemente i mezzi per mobilitare il Paese.
Ma c’è stato anche dell’altro. Un altro non scontato. Innanzitutto, accanto alle rivendicazioni per ciò che è stato fatto, l’ammissione di ritardi ed errori. Forse non all’altezza di clamorosi errori come l’aver tenuto il primo turno delle municipali (errore del quale porta una responsabilità in realtà ancora non ammessa), ma non banale: «Eravamo preparati a questa crisi? L’evidenza mostra che non lo eravamo abbastanza», «Il momento ha rivelato delle lacune, delle insufficienze… come voi ho visto delle carenze, delle lentezze, delle procedure inutili, anche delle debolezze nella nostra logistica».
Macron ha raccontato dei passi per adattarsi a una crisi alla quale si era giunti impreparati: prendere decisioni difficili a partire da informazioni parziali, spesso mutevoli, adeguandosi di continuo a una realtà che ancora presenta molti lati sconosciuti. In sintesi, ha voluto coinvolgere i francesi in un processo in fieri dalle tante incognite, senza negarle. E ha evitato di colpevolizzarli, come en passant, ma non troppo implicitamente, aveva invece fatto nel suo secondo discorso del 16 marzo, quando si era riferito a comportamenti non responsabili che lo avrebbero costretto a rafforzare le misure restrittive.
Questa volta ha parlato di «nostri sforzi» che stanno dando i primi risultati positivi, ma quel «nostri» non è riferito alla Presidenza o al Governo, bensì alla Francia e ai francesi. Quelli in prima linea, medici, infermieri, pompieri, funzionari, soccorritori, chi lavora negli ospedali; in seconda linea, agricoltori, insegnanti, giornalisti, assistenti sociali, eletti locali, ovvero tutti coloro che continuano a lavorare per permettere al Paese di andare avanti; in terza linea, ogni cittadino col proprio senso civico. Con un ringraziamento a quelle autorità locali – più volte chiamate in causa – e a quei corpi della società civile che stanno rendendo la vita meno difficile ai più deboli.
Come la capacità di indicare una direzione, anche quella di far sentire ognuno parte essenziale di una impresa complessiva, di uno sforzo collettivo per salvaguardare una comunità e i suoi membri, costituisce una premessa fondamentale per mobilitare e farsi seguire. Anche mostrando di comprendere le sofferenze che il male che incombe e le risposte necessarie a combatterlo producono: «La paura per i nostri congiunti, per noi stessi … la fatica e la stanchezza per alcuni, il lutto e il dolore per altri».
In particolare per chi vive con maggiori difficoltà: «Un periodo ancora più difficile per coloro che vivono in tanti in un piccolo appartamento, quando non si posseggono i mezzi di comunicazione necessari per imparare, distrarsi, avere degli scambi», per coloro che nel proprio contesto domestico vivono tensioni, e subiscono il rischio quotidiano di violenze; la solitudine e la tristezza dei nostri anziani. La parola speranza è più volte ripetuta, come è ripetuto il riferimento alla capacità di reagire, combattere e riuscire della Francia. Ma senza sfuggire alla gravitas del momento.
Emmanuel Macron ha agito tardi, ha assunto tardi la piena responsabilità della situazione, preceduta da marchiani errori e comportamenti a dir poco stupidi (come la serata a teatro alla fine di febbraio). Vedremo se e come saranno mantenuti gli impegni. Ma ieri ha parlato come un leader deve parlare in una situazione di crisi. Ha cercato di infondere fiducia fornendo alcune indicazioni certe nell’incertezza inevitabile del momento, tracciando una strada e mostrandosi aperto alla costruzione di soluzioni complesse. Con un coinvolgimento che non gli è consueto, ha mostrato di crederci. Della sua presidenza certamente il discorso più bello.