Inside BudapestNell’Ungheria di Orbán la democrazia era già in quarantena

L’epidemia rappresenta una fantastica opportunità per il primo ministro per mostrare tutta la sua forza. Le opposizioni gridano al colpo di stato, ma non possono scendere in piazza. E il leader sovranista potrebbe addirittura anticipare le elezioni

Viktor Orban
Michal Cizek / AFP

Budapest al tempo della quarantena è insolitamente tranquilla rispetto al suo recente passato di capitale dinamica e turistica. Ormai quasi tutti i ristoranti sono chiusi, i negozi hanno ridotto gli orari di apertura, i mezzi pubblici tagliato le corse. Il centro città si è svuotato, gli abitanti dei sobborghi ricchi si sono già spostati in seconde case fuori città. Le scuole sono chiuse, chi può fa smart working da casa, gli altri vanno al lavoro. Il governo ha imposto un coprifuoco, ma si tratta di misure parziali rispetto al lockdown totale adottato in Italia. Se all’inizio qualcuno l’aveva presa come una vacanza, adesso tra gli abitanti si è risvegliato un senso di responsabilità che porta tutti a trascorrere la maggior parte della giornata in casa.

A oggi, l’Ungheria ha circa 500 casi confermati di coronavirus, e una ventina di vittime. Il conteggio ufficiale, in maniera simile all’Italia, è con tutta probabilità sottostimato. I tamponi per diagnosticare il virus non vengono utilizzati quanto dovrebbero. C’è preoccupazione per la tenuta del sistema sanitario, che negli anni è stato sottofinanziato, così come il comparto dell’istruzione, a favore invece di settori come l’edilizia. I medici e il resto del personale stanno già lavorando con turni estesi, c’è carenza di mascherine e dispositivi protettivi. Il governo ha schierato l’esercito per fare sì che le catene di approvvigionamento alimentare non siano interrotte, e ha organizzato gli ospedali militari per trattare i contagiati. Il picco dell’epidemia è previsto a giugno o luglio, ma il governo si è mosso in fretta e, sembra, in anticipo rispetto ad altri paesi.

È in questo contesto che il parlamento ungherese ha approvato questa settimana una legge che mette nelle mani del primo ministro Viktor Orbán ulteriori “speciali” poteri per fronteggiare l’emergenza. Approvata con 137 voti a favore e 53 contrari, la legge d’emergenza prevede che il presidente possa decidere in maniera autonoma quando lo stato di emergenza sarà concluso, governare per decreto, chiudere a sua discrezione il parlamento, cambiare o sospendere leggi esistenti e rimandare le elezioni. È prevista la detenzione fino a cinque anni per chi si trova accusato di diffondere fake news (potenzialmente comprendendo qualsiasi genere di opposizione e denuncia di mala gestione dell’emergenza).

Le opposizioni e molte organizzazioni non governative hanno gridato al colpo di stato. La stessa Unione Europea e il Partito popolare europeo (di cui fa parte il Fidesz di Orbán) si sono esposti per condannare l’accaduto. «L’aspetto più inquietante del disegno di legge del governo è che estenderebbe lo stato di emergenza ad un periodo indefinito e accorderebbe poteri speciali al governo, compresa la possibilità di governare con decreto e senza l’approvazione del Parlamento. La consideriamo una cattiva idea», dice un report Transparency International Ungheria, ong per la lotta alla corruzione. «Un’estensione a cadenza di 30 giorni da parte del Parlamento della portata dei decreti governativi emessi sotto lo stato di emergenza parrebbe più appropriata». Inoltre, «se il governo ritiene necessario sanzionare in modo più severo gli allarmismi, dovrebbe applicare gli attuali standard sanzionatori, in base ai quali sono punibili solo quelle voci che possono potenzialmente causare disordini tra le persone. Non è necessario consentire l’applicazione della reclusione fino a cinque anni a coloro che diffondono voci che “minano lo sforzo di proteggere il paese sotto lo stato di emergenza”», si legge ancora nel testo.

Per quanto il gesto sia stato condannato, per gli ungheresi in realtà non rappresenta una novità. «Chi parla di “fine della democrazia” per via di questa misura, sbaglia. Lo stato di diritto era vulnerabile anche prima. È dal 2010 che il primo ministro ha avuto quasi ininterrottamente la maggioranza dei due terzi del parlamento dalla sua parte. Anche senza un’autorizzazione così esplicita, poteva già governare come voleva. Sono pochi quelli che possono dire di no al signor Orbán», dice a Linkiesta Miklós Ligeti, head of legal affairs di Transparency International Ungheria. Anche con questo provvedimento, «il processo legislativo prosegue “business as usual”, ovvero nell’interesse della classe dirigente e nei termini della segretezza, dove la proprietà pubblica spesso finisce nelle mani dei privati e dove la suocera del ministro della giustizia può essere la numero due della commissione per la giustizia, senza che nessuno si preoccupi dell’evidente conflitto di interesse. In questo senso la legge emergenziale non rappresenta nessun crollo. La malattia più pericolosa in Ungheria è quella che affligge la democrazia, e lo è da ben prima del virus».

Per Vincent Liegey, attivista francese trapiantato a Budapest da quasi due decenni, «la legge non cambia nulla concretamente, bensì dà legittimità psicologica a un’ulteriore centralizzazione del potere. In un momento di crisi, le persone sono molto più disposte ad accettare la violazione dei propri diritti democratici in nome della sicurezza». Per Liegey, che è stato consulente politico dell’ambasciatore francese in Ungheria e negli anni passati ha anche fondato un partito verde, la condanna europea maschera un’ipocrisia di fondo. «I paesi dell’Europa occidentale hanno condannato la legge e puntato il dito contro l’Ungheria, ma in realtà è solo per giustificare un inasprimento delle condizioni e la soppressione delle libertà negli stessi paesi occidentali. La differenza è che Orbán lo fa in maniera più spettacolare».

Ormai Orbán si prende gioco delle istituzioni Ue. Quando 13 Stati europei, all’indomani del varo della legge ungherese, hanno firmato una dichiarazione di condanna della modalità di governo per decreto senza scadenza (senza citare direttamente l’Ungheria), lo stesso premier ungherese figurava tra i firmatari. «L’Unione europea segue da vicino ciò che succede in Ungheria, anche grazie ai rapporti che le ong presentano, ma non ne conseguono mai azioni drastiche», dice Ligeti. «Gli strumenti di soft power non hanno alcun peso. Se l’Unione europea avesse veramente intenzione di dire all’Ungheria che le pratiche illiberali e di eliminazione delle opposizioni non sono accettabili, dovrebbe essere molto più determinata e molto meno diplomatica». Ma questo, naturalmente, crea una condizione pericolosa per gli stessi ungheresi: «È contro il nostro interesse che il nostro paese venga sanzionato, perché saranno i cittadini a pagarne il prezzo», dice il portavoce di Transparency International.

Il presidente-autocrate avrà pure mano libera, ma il virus costituisce un problema serio dal punto di vista economico. Negli ultimi anni, grazie soprattutto ai finanziamenti dell’Unione europea, l’Ungheria è cresciuta economicamente, pur se in misura contenuta (il Paese è tra le ultime posizioni per crescita tra gli stati dell’Est), e il governo era riuscito a trasmettere almeno una parvenza di economia florida. Il lavoro non mancava e i salari erano in crescita. L’arrivo dell’epidemia, però, potrebbe facilmente causare un peggioramento delle condizioni. Il Paese infatti non ha risorse naturali su cui puntare, tant’è che molti settori produttivi vivono degli appalti che ricevono da Germania e altri Paesi. Per via dei blocchi, molte fabbriche hanno chiuso, e anche il turismo, che in condizioni normali costituisce un importante traino per l’economia, si è bloccato. I soldi europei, che avevano contribuito in larga parte a sostenere la macchina economica, sono spesso stati sottratti al bene comune, finendo nelle tasche di pochi.

Nei suoi piani di crescita, Orbán ha puntato soprattutto sulle infrastrutture sportive (2 miliardi di euro dei fondi europei, una cifra enorme per un paese come l’Ungheria, sono stati dedicati a questo settore), come segno di coesione sociale e orgoglio nazionale. Alla squadra di calcio della sua città natale, il presidente ha fatto dono di 25 milioni di fiorini. Gli stadi, eretti ovunque nel Paese, anche nelle cittadine più piccole, sono diventati il simbolo di una società del benessere che però non esiste, perché i costi del mantenimento proprio di quelle strutture, fra riscaldamento, pulizie e servizi di sicurezza, spesso schiacciano talmente tanto i villaggi da un punto di vista finanziario, da non lasciare spazio per nessun’altra attività. Anche il sistema delle sponsorizzazioni sportive è soggetto a corruzione e appropriazioni indebite. Così, nel pieno dell’emergenza, l’Ungheria si ritrova con un bel po’ di stadi in cui nessuno va e, per contro, un numero insufficiente di medici, che scappano all’estero in cerca di migliori salari e condizioni di lavoro.

L’epidemia rappresenta però una fantastica opportunità per il primo ministro per mostrare tutta la sua forza e il suo senso pratico nell’essere “padre della nazione”.  Dopo aver perso con le elezioni amministrative del 2019 il controllo di più di una città, fra cui la stessa Budapest, il leader di Fidesz ha l’occasione per rimediare a un’autorità che iniziava a traballare. Puntando su una comunicazione di stampo propagandistico tutta volta a sottolineare il suo impegno per fronteggiare l’epidemia – sui mezzi di informazione e i social network circolano i suoi video mentre è già al lavoro alle 5 o 6 di mattina, incontrando ministri e capi di settore per la gestione della crisi – Orbán ha un’occasione in più per dimostrarsi “l’uomo forte al comando” e riconquistare i suoi figli. Un modo efficace per iniziare a fare campagna elettorale (le elezioni sono previste nel 2022) fin da subito.

È proprio per questo che «sbaglia chi pensa che con la legge di emergenza Orbán vorrà decidere di rimandare le elezioni all’infinito», dice Ligeti. Anzi: «più probabilmente potrebbe decidere di anticiparle, per sfruttare l’onda del successo nella gestione della crisi». Ovviamente, sempre che la crisi venga gestita bene e che il Paese non esca a pezzi dall’emergenza. Per Liegey, non è assolutamente scontato che succeda. «Se gli ospedali dovessero esplodere come in Italia, se dovesse emergere il problema della disoccupazione, potrebbe essere una bomba sociale. Gli ungheresi sono gente pragmatica, poco interessata alla politica; finché hanno da mangiare nel piatto e uno stipendio decente, non gli interessa chi li governa. Ma io non vedo segni concreti di protezione delle persone e temo che alla fine i segni di cedimento nell’economia, soprattutto nel settore alimentare e farmaceutico, potrebbero portare a rivolte anche violente. Le conseguenze del coronavirus potrebbero essere anche più deleterie del virus stesso».

Orbán gioca da solo questa partita. Anche i numerosi movimenti di attivisti di opposizione, cui il primo ministro ha reso la vita non facile negli ultimi anni, pur essendo vivi e pronti a tornare in piazza, sono stati messi a tacere dalla quarantena, che ha sottratto loro la possibilità di organizzare manifestazioni. Ma sui social network «la gente inizia a chiedersi cosa produciamo e come lo produciamo», dice Liegey. «Il coronavirus potrebbe avere un effetto domino in questo senso. Il problema è che anche quei movimenti che sarebbero pronti a tornare in piazza per difendere lo stato di diritto, sono deboli nel proporre alternative».

Liegey, che ha co-fondato Cargonomia, un’organizzazione di produzione e consegna di frutta e verdura a chilometro zero e di formazione in ambito di permacultura, ammette che non sarà un lavoro facile. «Il nuovo sindaco di Budapest è molto sensibile ai temi ambientalisti, che è una cosa positiva, ma servirà molto tempo e molti dibattiti per capire come andare avanti. Davanti ad uno shock simile, serviranno resistenza e creatività nella costruzione del mondo di domani». Unico elemento positivo, il potenziale di ripresa della società ungherese. Non solo perché l’agricoltura familiare e la produzione locale sono molto più sviluppate qui e nell’Europa dell’Est che non nel resto dei Paesi membri. «La società ungherese è molto più resiliente che altrove, la gente sa come prendersi cura di se stessa. E questo è un aspetto importante. Al confronto, mi preoccupa molto di più la capacità di un Paese come la Francia di eliminare misure come il controllo della polizia. Quando si arriva a instaurare politiche di quel tipo, spesso non si torna più indietro».

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