Tra le più colpite economicamente dalla pandemia, dopo due mesi di chiusura forzata, le imprese dell’ospitalità si sono unite in una manifestazione apertasi martedì sera e che ha avuto il suo culmine ieri a Palazzo Marino, con la consegna delle chiavi dei locali al sindaco Sala.
Nell’anno 2019 il fatturato del mondo HO.RE.CA, con le sue 349.323 aziende, è valso 87 miliardi di euro di fatturato e la perdita prevista, con i mesi di marzo ed aprile già consolidati, è del 48,8%. E sul milione e duecentomila addetti nel 2019, questo settore potrebbe perdere il 35% di posti di lavoro: uno scenario che sarebbe il più drammatico mai osservato nella storia recente.
Che cosa chiedono i rappresentanti del movimento imprese dell’ospitalità? Innanzitutto ascolto, e poi aiuto.
«Martedì sera 5000 locali hanno aperto e acceso le luci, in un flash mob che voleva portare luce sul problema. Mercoledì siamo andati in rappresentanza di tutti dal sindaco Beppe Sala per una protesta che vogliamo sia assolutamente costruttiva». A parlare è Riccardo Minati, proprietario di The Fisherman e The Fisherman pasta, e portavoce per l’occasione dell’unione dei brand della ristorazione. «Abbiamo consegnato le chiavi dei nostri locali al sindaco perché non possiamo riaprire se la situazione è questa. Il danno della chiusura è devastante, ma la riapertura a queste condizioni potrebbe esserlo altrettanto. La distanza tra i tavoli richiesta, per la maggior parte di noi, è irragionevole, e poi non vogliamo ospitare la gente nel terrore: i nostri sono luoghi di ospitalità, non sono le poste. Chi viene, viene per stare bene. Se devi stare a distanza e con la mascherina non funziona. Per questo chiediamo un supporto per poter aprire quando sarà il caso. A livello comunale, abbiamo avanzato la richiesta che la tassa di occupazione suolo pubblico e la tari non vengano dilazionate o posticipate, ma cancellate per il periodo di chiusura. Capiamo che anche il comune di Milano è un’azienda in crisi, che non incasseranno tutti i tributi. Sappiamo anche che non siamo una nazione ricca, i miliardi di euro che hanno messo in campo per gli aiuti non ci sono. Li dovremo ridare con estrema fatica. Ma a maggior ragione, quando noi riapriremo e verranno meno gli aiuti che oggi abbiamo, e avremo da pagare i debiti posticipati e i finanziamenti richiesti sarà impossibile stare a galla.
Qual è il problema economico reale?
«Sappiamo già che perderemo l’80 per cento della clientela, a causa del distanziamento. Il costo mensile per aprire un ristorante si aggira sui 40mila euro: in questi mesi di chiusura l’imprenditore si è fatto carico di pagare l’affitto e lo stato si è fatto garante del 60% di credito di imposta. Ma noi dobbiamo anche avere modo di arrivare a pagarle, le imposte. Al momento, con la cassa integrazione per i lavoratori e questo credito d’imposta abbiamo spalmato su più fronti le problematiche: ma quando riapriremo, se non c’è più questa divisione di responsabilità finanziaria, chiuderemo tutti. Togliere dalla cassa integrazione i dipendenti per me, come per tantissimi altri, è impossibile adesso. Il mio locale è molto piccolo, e la mia forza economica è far girare i tavoli: il mio guadagno arriva se i miei spaghetti con le vongole li mangiano in 100. Adesso potrei ospitare 11 persone per volta. Non può funzionare.»
Come vedi il futuro?
«È una situazione talmente contingente e globale che io – sul lungo periodo – mi sento tranquillo. O azzeriamo tutto e rivediamo l’economia del mondo, oppure so per certo che non possiamo essere lasciati da soli. Se fallisce un’azienda come la mia, un’impresa commerciale tenuta sott’occhio dal proprietario, per motivi bancari non esposta a debiti e in salute, allora fallisce il 95% del commercio al dettaglio e tutti i fornitori e l’indotto. Quindi non posso che pensare che qualcosa verrà fatto. Siamo fiduciosi che l’amministrazione si comporterà in maniera responsabile. Oggi Sala è stato molto disponibile, conosce benissimo i nostri problemi e ci ha garantito che la nostra preoccupazione è la loro preoccupazione. Aspettano indicazioni da parte del governo per capire quali saranno le modalità e i calendari del ritorno del commercio reale. Speriamo di avere presto delle risposte concrete.»
La risposta del Comune arriva da una dichiarazione dall’Assessore per il Lavoro, Attività produttive e Commercio, Cristina Tajani: «Siamo vicini alle istanze e alle preoccupazioni espresse dai titolari di bar, ristoranti e pubblici esercizi che hanno simbolicamente consegnato le chiavi delle loro attività all’Amministrazione affinchè sensibilizzi il Governo alle problematiche e alle difficoltà che sta vivendo uno dei settori strategici per l’economia della città e del Paese. Come Amministrazione stiamo già mettendo in campo tutti gli strumenti di nostra competenza per sostenere la ripartenza di questo settore: dall’abbattimento dei canoni occupazione suolo per chi metterà tavolini e sedute all’esterno delle proprie attività sino alla dilazione di Tari e altre imposte comunali. Le chiavi dovrebbero essere prese in consegna dal Governo e dalla Regione che attraverso i loro provvedimenti possono garantire una più veloce riapertura delle attività.»