Il Museum of London sta raccogliendo oggetti e testimonianze che riflettono la risposta fisica ed emotiva dei londinesi durante i giorni del confinamento. Iniziative analoghe stanno nascendo a Stoccolma, Vienna, Barcellona. I posteri vedranno le pantofole che ci hanno tenuto al caldo, i barattoli di marmellata con cui ci siamo consolati, le mascherine cucite a mano, tutti simboli di un periodo storico che ricorderemo a lungo. Mentre eravamo sospesi nella bolla temporale dell’isolamento, gli oggetti si sono riposizionati secondo una nuova scala di importanza: scarpe, chiavi, impermeabili, abbonamenti ai mezzi di trasporto sono scivolati in fondo alla lista di priorità e altre voci sono balzate in cima. Improvvisamente ci è sembrato intollerabile non avere un tavolo adeguato su cui lavorare, scorte sufficienti di acqua minerale o carta igienica e ci siamo messi a ragionare sul valore di ciò che abbiamo intorno. Pascal Glissmann, ricercatore presso il laboratorio Observational Practies Lab della Parsons school of Design di New York, ha rilanciato l’interrogativo via social chiedendo alle persone di fotografare e postare gli oggetti quotidiani che hanno assunto un nuovo significato dall’inizio dell’isolamento. Gli scatti condivisi attraverso l’hashtag #objectsofmyisolation compongono l’Atlas of everyday objects – In the age of global social isolation, racconto per immagini che cerca di sondare in che modo l’esperienza dell’isolamento forzato modellerà effettivamente la nostra memoria collettiva. Chiamate a selezionare e fotografare nove oggetti comuni, le persone hanno scelto di immortalare grandi sacchi di farina – testimoniando come la cucina sia diventata un divertissement praticato e amato a tutte le latitudini – ma anche un numero sorprendente di piante e strumenti per il giardinaggio, mangiatoie per uccelli, tazze di tè, gatti, telefoni, sedie vuote. «Queste griglie, se viste una accanto all’altra, mostrano come alcuni elementi ricorrenti stiano assumendo un nuovo significato collettivo a causa del virus: carta igienica, sapone, maniglie delle porte, fazzoletti, guanti e maschere, detersivo e computer portatili» ha spiegato Glissmann alla rivista online It’s nice that.
Oltre all’irresistibile tentazione di sbirciare nelle vite degli altri, il collage di foto suggerisce altri spunti interessanti: la maggior parte degli oggetti è immortalata dall’alto su una superficie piana, pavimento o tavolo. Quel che sembra un dettaglio trascurabile in realtà non lo è. Tra gli arredi più utilizzati durante la quarantena c’è sicuramente lui, il tavolo, sottoposto a uno stress test senza precedenti. Nella nuova gestione degli spazi, le funzioni si sono mescolate e così ci siamo ritrovati a usarlo, in tempi diversi, per impastare la pizza e fare ginnastica; l’abbiamo trasformato in postazione di lavoro provvisoria ma ci siamo accorti che si presta altrettanto bene come set fotografico; abbiamo trascorso ore a insegnare ai bambini qualche gioco – da tavolo, appunto – che forse non avevano mai visto prima d’ora. Qualcuno è arrivato a usi impropri e fantasiosi per pranzare con i vicini bypassando i divieti imposti dal lokdown. Spostandolo, allungandolo, trovandolo comodo o decisamente troppo piccolo, tutti prima o poi abbiamo fatto i conti con lui.
«Certamente non lo guarderemo più con gli stessi occhi di prima; l’eredità che ci lascia questo momento storico è una grande consapevolezza. La quarantena ci ha costretti a riflettere su noi stessi e sugli spazi che ci circondano: siamo diventati più lucidi nel valutare cosa ci serva davvero e cosa sia superfluo. D’ora in poi, quando acquisteranno un oggetto o cercheranno una nuova casa, le persone sapranno esattamente di cosa hanno bisogno per vivere bene» spiega Piergiorgio Cazzaniga, una vita spesa nel mondo del design. Classe 1946, figlio d’arte (il padre era ebanista), nella sua lunga carriera ha lavorato con le più importanti aziende di design: Boffi, Poltrona Frau, Nazareno Gabrielli, Poliform, Porro, Matteograssi. Tra i progetti di maggior successo, le poltroncine Mariposa e Bloom per Living Divani; le cucine Free e Touch per Composit; la seduta Exa per La Palma; dalla lunga collaborazione con Mdf Italia sono nate le sedute M1, Lofty, Sign, il sistema componibile Inside e Tense, realizzato a quattro mani con il figlio Michele, premiato con la menzione d’onore Compasso d’oro Adi nel 2011, sintesi estrema dell’archetipo di tavolo a quattro gambe. «Come un bambino che è cresciuto ed è diventato adulto», Tense ha esplorato nei suoi undici anni di vita tutte le possibili declinazioni: panca, tavolino, consolle, tavolo in versione fissa; da interno o esterno, a seconda dei materiali e delle finiture, per il mercato contract e per quello residenziale. Difficile immaginare che possa evolvere ancora. Seduto alla scrivania che lui stesso ha disegnato – un prototipo che consente di spostarsi da una parte all’altra senza alzarsi, facendo perno solo sulla seduta – Cazzaniga non perde il pragmatismo brianzolo: «Il blocco ci costringe a una nuova creatività, a ripensare tutta la filiera del progetto. Stiamo vivendo un tempo di riflessione che non deve essere sprecato. Se dovessi disegnare un tavolo oggi partirei da un sistema di accessori a supporto delle infinite attività quotidiane.» In quest’ottica, il tavolo diventa il simbolo del saper fare artigianale a cui siamo tornati in queste settimane di ozio forzato. «Abbiamo riscoperto qualcosa di antico, di arcaico oserei dire. È intorno al tavolo che è cominciata la storia degli uomini, quando i nostri antenati hanno iniziato a considerare il pasto non solo sotto l’aspetto pratico ma anche per la sua valenza sociale, come momento di incontro e di scambio.» Stare seduti alla stessa mensa significa condividere gli stessi valori, stringere alleanze, ritualizzare un momento. In una parola, scegliere il proprio posto nel mondo. Quello che, forse, con troppa leggerezza stavamo perdendo di vista.