Quando risponde al telefono, Yoji Tokuyoshi esordisce con un suono a metà tra il sospiro e il lamento, un’onomatopea che nei fumetti verrebbe trascritta come “groan”. Non sorprende – la quieta disperazione è un umore diffuso negli ultimi tempi tra gli imprenditori della ristorazione (non solo loro, purtroppo). Ma tutto va bene, spiega: ≪Stiamo spostando delle cose dentro al ristorante, tanto non riapriremo fino a settembre≫. Il ristorante in questione – che porta il cognome del cuoco giapponese, Tokuyoshi – ha riaperto lo scorso febbraio dopo una ristrutturazione molto impegnativa durata mesi, che l’ha rivoltato come un calzino. Tempismo eccezionalmente sfortunato: ce ne sarebbe abbastanza per dire “groan” e anche altro, ma non è questo il caso.
≪Su Telegram faccio parte di una chat che riunisce qualche centinaio di ristoratori. Era tutta una lamentela: non ci lasciano aprire, il governo non ci aiuta. Io invece ho preferito rendermi utile, così – con l’aiuto di un amico avvocato – ho chiamato gli ospedali per capire come dare una mano. Ho trovato un accordo con l’Ospedale San Giuseppe di Milano, e ho cominciato a preparare i pasti per 50 medici impegnati nell’emergenza Covid-19. In una prima fase abbiamo comprato tutto a nostre spese, poi in tanti ci hanno dato una mano: Le Polveri ha regalato pane e focaccia, altri si sono aggiunti. Portavamo anche il caffè≫.
Cucina casalinga – italiana e giapponese – consegnata nei bento, quei vassoi con coperchio che in Giappone tradizionalmente contengono i pasti da consumare fuori casa: a Milano la schiscetta, insomma. Avevano un grande successo, soprattutto quelli di cucina giapponese: ≪Allora ho cominciato a pensare che mi sarebbe piaciuto continuare≫.
Yoji Tokuyoshi è un cuoco nippo-emiliano – prima di aprire il suo ristorante a Milano nel 2015, è stato il sous-chef all’Osteria Francescana di Modena, il celebrato ristorante del cuoco più famoso d’Italia, Massimo Bottura. Tokuyoshi è solito tradurre la cucina nelle due lingue: in Italia non ha mai fatto cucina giapponese – con grande sconcerto di chi, vedendo il nome sull’insegna, entrava chiedendo un sushi – ma una cucina di ingrediente italiano e sentimenti giapponesi. A Tokyo, invece, lo scorso anno ha inaugurato il progetto speculare: si chiama appunto Alter Ego, e la cucina prevede materie prime giapponesi e pensiero italiano. Com’è la situazione lì, dove non c’è mai stato un lockdown come quello italiano? ≪Le autorità si sono limitate a suggerire di restare a casa. Ma i giapponesi sono molto disciplinati, quindi il ristorante è rimasto aperto, ma vuoto≫.
Essere bilingui dona flessibilità mentale, e lo stesso avviene in ambito gastronomico: Tokuyoshi parla due cucine – e facilmente ne apprende altre. Dall’esperienza di volontariato all’Ospedale San Giuseppe è nato il progetto della Bentoteca – che ha debuttato ieri: ingredienti italiani cucinati in stile giapponese. Fuor di teoria, la proposta – da prenotare sul sito il giorno prima – prevede un ristretto menu di piatti unici serviti su base di riso di Niigata, come sgombro fritto, alghe nori, uova, fave, piselli, zenzero, spinaci, shiso, sesamo bianco, carote e salsa ponzu; o Coscia di pollo ficatum cotto alla griglia, salsa yakitori, uova, alghe nori, friggitelli, spinaci, shiso, verdure di stagione, soboro, sesamo bianco, zenzero, menta, e peperone crusco. Tutti gli ingredienti nella stessa confezione, eppure è molto kawaii, non diventa un rebelòt: mantiene l’estetica impeccabile che solo i giapponesi sanno applicare anche alla cucina quotidiana.
Ogni settimana cambiano alcuni piatti. Dalla prossima cominciano le “combo”: insieme al bento, anche un assaggio di pollo fritto karaage e una zuppa, con una bottiglia di vino naturale. Perché questa scelta? ≪Molti vini naturali sono un ottimo abbinamento con la cucina giapponese: i macerati, ad esempio, hanno note di umami, altri combinano dolce e salato, e funzionano in abbinamento alla salsa di soia≫.
Prezzi molto democratici: ≪60 o 70 € per due persone. Sarebbe inutile fare la nostra cucina adesso, questo per noi è il momento di resistere, altrimenti rischiamo di perdere tutto. Con questa formula riuscirò a tenere al lavoro almeno metà del mio staff, mentre gli altri resteranno in cassa integrazione. E comunque, per me non sarebbe giusto far pagare 150€ a testa per un delivery, senza nemmeno un cameriere≫.