Il Canton Ticino è quella porzione di Svizzera che, da sempre, viene considerata un po’ l’altra faccia della Lombardia in terra straniera. Alta densità di abitanti, un numero di aziende in proporzione analogo, soldi, tanti soldi concentrati in poco spazio e poche persone.
Il virus, naturalmente, si è diffuso anche in casa loro, anzi, rispetto all’intera Confederazione Elevetica, il Ticino è stato molto più colpito, tanto che i nostri vicini, hanno vissuto la questione con un duplice atteggiamento, da una parte hanno immediatamente incolpato gli italiani, accusandoli di essere gli untori che li hanno infettati, dall’altra hanno subito, da parte degli altri Cantoni, l’onta di aver dato troppo peso alla cosa, chiudendo tutte o quasi le attività come successo in Italia. Cosa, invece, avvenuta in maniera meno impattante nel resto della Svizzera.
In questi giorni, passata la prima fase emergenziale, affacciandosi alla fase 2, anche da quelle parti si stanno domandando come affrontare alcune situazioni e i problemi, come immaginerete sono gli stessi che ci poniamo noi. Per quanto riguarda bar e ristoranti la riapertura è fissata per lunedì 11 maggio, così ha stabilito il Consiglio Federale, ritenendo importante che, per un ritorno graduale alla normalità, sia necessario dare libero accesso ai locali della convivialità.
Libero accesso, ma con delle regole, almeno nella fase iniziale. Tra le indicazioni, i tavoli distanziati di due metri, il numero massimo di commensali che non possono essere più di quattro, con l’eccezione dei nuclei familiari, l’essere serviti solo se seduti, anche nei bar, e, novità che fa discutere, l’obbligo di prenotare fornendo i dati di tutti gli avventori, anche per un caffè al banco, in modo che, spiega L’Ufficio Federale di Sanità Pubblica, in caso di contagi, si possano tracciare tutti i contatti. Insomma nella nazione che, della cura delle informazioni dei cittadini, ha fatto quasi una religione, il bene superiore della salute collettiva infrange ogni tabù.
Ma i cittadini che cosa pensano del ritorno a ristorante?
Un sondaggio, svolto da GastroSuisse, la federazione dell’albergheria (sì, la chiamano proprio così) e dei ristorazione svizzera, fa emergere soprattutto prudenza, se non addirittura diffidenza. La domanda è semplice: “Pensi di tornare al ristorante/bar già da lunedì prossimo?”. La maggioranza, il 53%, risponde di no, preferendo aspettare un po’ di tempo. C’è, poi, chi, il 17%, si nasconde dietro un diplomatico “non ci andavo molto neanche prima”. Seguono, alla pari 11%, le risposte di coloro che si dividono tra chi magari non ci andrà lunedì, ma in settimana sì, e chi, invece, non vede l’ora e lunedì si precipiterà all’apertura, infine, 7%, chi andrà al bar, ma non al ristorante.
In conclusione, poco interesse per inutili idee di separazione quali il plexiglass, ma più attenzione per un comportamento adeguato, affidato al senso di responsabilità dei cittadini, con in più il controllo ferreo imposto dallo stato, controllo che, però, a detta di GastroSuisse, non impedirà un graduale ritorno in bar e ristoranti di buona parte dei connazionali.