Nel rione di Shinjuku, a Tokyo, le banane scarseggiano e sono rincarate del 25 per cento in una sola settimana per la difficoltà degli importatori di reperirle sul mercato all’ingrosso. È uno degli effetti della pandemia che ha generato un cortocircuito mondiale nella catena di produzione e distribuzione delle merci deperibili con conseguenze pesanti nell’equilibrio tra domanda e offerta. Un recente rapporto dell’Afpc, Agricultural and Food Policy Center dell’università del Texas, stima perdite di oltre 397 milioni di dollari per i produttori di frutta e verdura locali se il blocco dovesse continuare per altre settimane.
In Irlanda, Jimmy Kearns, presidente di Ifa Soft Fruit, si è fatto portavoce di una campagna mediatica che incoraggia gli irlandesi a sostituire gli zuccheri raffinati con la frutta come alternativa salutare nel tentativo di tenere in piedi un settore che da solo genera introiti superiori a 100 milioni di euro l’anno: «Una singola porzione di fragole fornisce l’intero fabbisogno giornaliero di vitamina C di un adulto» ha esortato Kearns alla vigilia della Celebrate Strawberry Week.
Molti agricoltori che hanno visto andare in fumo buona parte dei loro guadagni stanno cercando nuovi canali di vendita; nel tentativo di smaltire le eccedenze il ministero del Commercio della Thailandia, paese tra i maggiori esportatori di frutta fresca al mondo, sta collaborando con le principali piattaforme per vendere online la sua produzione di prima qualità in Giappone, Stati Uniti, Cina e Corea del Sud.
Anche in Italia si moltiplicano le iniziative dei produttori per arrivare direttamente alla porta dei consumatori, tagliando i passaggi intermedi. Sul web non solo si può acquistare frutta e verdura ma è possibile adottare virtualmente anche galline per avere sempre uova fresche di giornata, api per assicurarsi una scorta di miele biologico e persino una mucca, iniziativa nata per sostenere i produttori della cooperativa bellunese Peralba di Costalta, andata sold out nel giro di pochi giorni.
C’è voglia di cibi freschi e sani, preferibilmente a chilometro zero o con filiera certificata. E con i rincari di frutta (+8,4%) e verdura (+5%) stimati da Coldiretti chi aveva un po’ di spazio a disposizione, nelle settimane di sosta forzata si è reinventato contadino.
Christian Reider, titolare di un vivaio a Bolzano, racconta che per tamponare in parte le perdite causate dalla quarantena, ha consegnato piante e terriccio a domicilio nell’attesa che i clienti lentamente tornassero a fare acquisti di persona nelle sue serre. «Ovviamente un po’ di spazio, nel giardino oppure sul terrazzo, è necessario. Serve inoltre terra di buona qualità e non dimenticarsi mai di innaffiare. Fare qualcosa di manuale fa bene allo spirito».
D’altronde che per iniziare bastasse “comperar la terra, i semi e qualche grande vaso” lo avevamo imparato ascoltando Lucio Battisti. Correva l’anno 1978. Nella primavera del 2020 qualcuno ha ripreso il vecchio refrain, si è rimboccato le maniche e adesso raccoglie fiero i risultati. Giovanni Baccolo, ricercatore all’università di Milano Bicocca, al trentanovesimo giorno di quarantena ha deciso di piantare fagioli, carote, spinaci, bieta, cicoria, prezzemolo e basilico in un cestone a scomparti, pensato apposta per mini orti urbani, si è fatto spedire tutto l’occorrente e dopo pochi giorni, ha visto spuntare i primi germogli.
Sui social è un florilegio di personaggi più o meno famosi convertiti al richiamo della terra, dal centravanti della Lazio Ciro Immobile che si è fatto fotografare con la canna dell’acqua in mano a Black Francis, chitarrista dei Pixies, che in un’intervista ha dichiarato di impegnare il tempo in quarantena dedicandosi ad attività manuali del tutto nuove per lui: «Questo periodo mi ha fatto capire che forse anch’io stavo correndo su una ruota come una cavia. Sto cercando di imparare a far crescere le cose, a costruirle. Ho messo su un pollaio e ho recuperato qualche gallina. Zappo il mio orticello e cresco mais e fagioli. Dobbiamo imparare a essere autosufficienti».
Che la moda degli orti sia ormai esplosa lo testimonia anche l’account Twitter @Top#10Libri che segnala nella top ten l’ingresso in classifica del volume Il maxi libro dell’orto. Come progettare, organizzare e curare il tuo orto. La psicologa Katia Vignoli ha dedicato all’arte antica della vanga, con annesse implicazioni sentimentali, anche un romanzo, L’estate incerta. Come con il pane fatto in casa, lavorare la terra non è soltanto un passatempo, ma qualcosa di più perché ci insegna la pazienza di aspettare, la gioia di raccogliere, l’emozione di condividere. E più prosaicamente, a non dipendere in tutto e per tutto dai capricci del mercato.
In attesa della fase 3, possiamo prendere confidenza con terra e sementi e abituarci a un futuro più verde, in tutti i sensi. New York ha già stabilito per legge l’obbligatorietà di inserire spazi piani da adibire a orto e giardino pensile per i nuovi edifici e per quelli in ristrutturazione e anche Milano nel suo Piano di Governo del Territorio per il 2030 prevede la possibilità di ripensare ai tetti degli edifici come aree su cui puntare per uno sviluppo sostenibile della città. Perché no, direbbe Battisti.