L’allarme Covid propone all’attenzione del grande pubblico la questione della qualità complessiva di una azienda; nel nostro caso, di un ristorante. Perché la qualità è la somma di quattro macro valori, dai più non sempre adeguatamente considerati: iniziamo ad analizzarli.
La qualità organolettica, in parole povere la bontà del cibo e delle bevande. Pochi sono in grado di comprendere e apprezzare compiutamente una preparazione, ma certamente molti sono in grado di distinguere un pasto dignitoso da uno scadente.
In ogni caso, la qualità presa in considerazione è percepibile; che ognuno faccia le sue considerazioni (magari, prima, cercando di capire la differenza di gusto che passa tra una vaniglia bourbon di qualità impiegata per preparare un gelato dal suo triste succedaneo, la vanillina).
La sicurezza, che in parte è percepibile, ma non ci pare risulti una importante variabile di scelta del ristorante.
La struttura, la logistica, le uscite di sicurezza, gli spazi comuni, gli impianti di allarme e antincendio, l’ingresso e l’uscita dal locale, gli arredi, la cucina, sono tutti presidiati adeguatamente? In caso di emergenza cosa potrebbe succedere? Il locale è stato controllato di recente e valutato? Anche questo non ha molto a che vedere con il virus.
E arriviamo ai due punti più interessanti per la cronaca di questo tempo sospeso: iniziando dalla salute. La filiera produttiva è garantita dal campo e fino al piatto pronto? I prodotti sono trattati adeguatamente dal punto di vista igienico alimentare? Gli operatori hanno competenze a riguardo? L’azienda dispone di tutti gli strumenti per tutelare la salute pubblica? In questi ultimi giorni, l’attenzione si concentra su mascherine, guanti, gel, sanificazione.
Ma in un ristorante di qualità, questa attenzione è da sempre ossessiva, continua, nel rispetto di una legge europea molto dettagliata e a tutti nota come HACCP. Una legge che regola in modo preciso ogni singola azione atta a tutelare il nostro bene più prezioso. Che è il più importante obbligo di legge per un ristoratore: se la pasta è servita fredda, il servizio di sala è lento, il cameriere antipatico, se il caffè è bruciato al legislatore non importa nulla. Ma se mangiando il nostro cliente avrà dei seri problemi di salute, questo è un pericolo da evitare.
La qualità del servizio: e qui veniamo al nocciolo della questione dal punto di vista della percezione. Rimane la questione rilevante e, per molti esercizi, devastante. È il vero dilemma da affrontare e risolvere.
Primo problema: andare al ristorante in assenza di convivialità è triste. Molti possibili clienti potrebbero rinunciare. Secondo problema: uno stile di servizio obbligatoriamente asettico e freddo rende l’atmosfera poco gradevole e può spaventare, è un fattore respingente. Terzo problema; le distanze previste riducono la capacità di accoglienza, riducono il volume di affari.
Per i locali “piccoli” è un dramma. Il ristorante è un’azienda con un’alta incidenza di costi fissi, che si devono sostenere a prescindere dai ricavi, per capirci. Il punto di equilibrio è difficile da raggiungere e i margini di profitto sono minimi. “Servire” 50 persone al giorno piuttosto che 100 significa lavorare per sopravvivere, se va bene.
L’ultimo problema, ma purtroppo il primo, e su questo il singolo ristoratore non può fare nulla: i soldi in circolazione sono pochi, la propensione alla spesa voluttuaria è minima. Il ristorante è per molti un lusso; chi non può resta a casa e chi ha qualche risorsa in più comunque ridurrà le sue presenze.