Continuano le buone notizie e i passi avanti verso la costruzione di un’alternativa politica, culturale e sociale antipopulista e antisovranista, dopo l’elezione di Carlo Bonomi a presidente di Confindustria, l’uscita di Marco Bentivogli dal sindacato in attesa di nuove sfide e il coraggio di Giorgio Gori nell’indicare come il futuro del Partito democratico non possa essere quello di un’alleanza, addirittura strategica, con i campioni del declino morale e della decrescita industriale del paese.
I giornali di oggi considerano il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini come il candidato di fatto alla guida del Pd, proprio sulla linea Gori, grazie al successo alle scorse regionali contro la destra, ma soprattutto grazie alle capacità di saper conciliare le ragioni delle attività produttive con quelle della tutela sociale dei lavoratori.
Sempre di oggi è la notizia della candidatura di Ivan Scalfarotto a presidente della Puglia. Scalfarotto è stato uno dei più preparati uomini di governo nelle precedenti esperienze a guida Pd, e per questo non valorizzato da Giuseppe Conte e Luigi Di Maio nell’attuale esecutivo, ma la cosa più interessante della sua candidatura è che nasce con il sostegno di Italia Viva di Matteo Renzi, di PiùEuropa di Emma Bonino e di Azione di Carlo Calenda e con l’obiettivo di convincere il Partito democratico ad abbandonare la strada senza ritorno dell’attuale governatore Michele Emiliano ormai diventato il simbolo di che cosa potrebbe diventare il Pd se continuasse a perseguire il progetto di allearsi con i Cinquestelle.
I primi segnali di ripresa civile dunque ci sono, anche se la sfida di chi non si rassegna a un futuro tra Salvini e Di Battista è a dir poco improba. Il tassello che manca è quello del Pd, il partito che ha retto il paese negli ultimi dieci anni ma che a questo punto va salvato dalla spirale autolesionista della convergenza programmatica con Conte e i Cinquestelle e dai capi corrente che lo tengono in ostaggio per guadagnare posizioni nella corsa al Quirinale del 2022.
L’alternativa però c’è. Ci sono le proposte industriali elencate da Bonomi, la strada sociale indicata da Bentivogli, le capacità amministrative mostrate da Bonaccini, l’esempio degli adulti del Pd a Roma e a Bruxelles, le prove di alleanza realizzate da Scalfarotto, i piani shock di Renzi, la competenza di Calenda (a patto che gli tolgano Twitter) e la dirittura liberale di Bonino.
In sintesi estrema, ma molto efficace, il programma minimo di governo è già scritto, è realizzabile fin da adesso ed è contenuto in una risposta di Giorgio Gori a una domanda di Repubblica questa domenica. Il sindaco di Bergamo ha spiegato che per inseguire Conte e i grillini l’attuale Pd sta sacrificando i tratti fondamentali della sua identità: «Il dovere d’essere accanto alle forze produttive del Paese, l’impegno a varare lo Ius culturae e a cancellare i decreti (in)sicurezza voluti da Salvini. Non abbiamo toccato Quota 100 né corretto il reddito di cittadinanza. Abbiamo digerito la cancellazione della prescrizione e il decreto intercettazioni, non abbiamo risolto i casi Ilva, Alitalia e Autostrade; sulla legge elettorale abbiamo sacrificato la nostra proposta; dopo tre voti contrari abbiamo votato sì al taglio del 30 per cento della rappresentanza parlamentare…». Recuperare i tratti fondamentali dell’identità antipopulista non serve solo al Pd, serve a recuperare l’Italia dal baratro.