Corre lady Virginia Raggi a caccia del sogno impossibile di una seconda sindacatura, lei sa bene che è tutt’altro che certo che riuscirà persino ad andare al ballottaggio, per questo è partita per una campagna elettorale lunga un anno. Un anno per far dimenticare i tre alle spalle.
Adesso va spesso in tv, lei che non ama particolarmente rispondere alle domande (infatti va solo dove ci sono conduttori “buoni”). Ha ripreso alla grande i rapporti con i potenti del Movimento facendosi benedire sia da Di Maio che da Dibba. Si è ricordata di dare un occhio alle finanze capitoline, però vuole chiamare a darle una mano l’ex sindaco di Livorno Filippo Nogarin già cacciato dai livornesi; già che ci siamo vuole pure qualche effetto speciale sulla cultura: ma qui più che mai casca l’asino.
E così la Raggi ha pensato bene di seppellire definitivamente l’Estate romana. Un gesto distruttivo, gratuitamente iconoclasta, privo di senso, un «inutile sfregio», come ha scritto il Corriere della sera, a un brand che andava avanti da 43 anni e che è nell’immaginario di tutti i romani, come i pini di villa Borghese, uno sbianchettamento di una lunga stagione, come fanno i ducetti nei regimi.
Oppure si tratta di un atto semplicemente penoso se la sindaca s’illude di sostituire al mitico brand inventato nel 1977 da Renato Nicolini qualcosa di serio: non sembra proprio. Ha lanciato un progetto nuovo, ovviamente vuoto come una bottiglia di birra a fine pranzo, che si chiama “Romarama”: un nome orrendo (non è piaciuto nemmeno al vicesindaco, Luca Bergamo, una persona intelligente che all’epoca di Nicolini era un bravo ragazzo e pure comunista). Ha cancellato la Lupa, simbolo dell’Estate romana, sostituendolo con un gatto, simbolo non si sa di che.
“Romarama” è un progetto che non esiste, è più o meno l’assemblaggio dei vari programmi che le istituzioni culturali romane allestiscono per conto loro. Non c’è nulla di nuovo. Un’illusione triste come un biglietto scaduto.
Il Partito democratico ha chiesto una commissione speciale per vedere chiaro in una vicenda di cui nessuno sapeva nulla e organizzata forse senza tutti i crismi. Si vedrà.
Ma al di là delle forme, se c’era un anno in cui aprire la Capitale d’estate dopo il lungo lockdown era proprio questo, bisogna essere campioni di dabbenaggine per non capirlo.
Questa era l’estate in cui semmai ci sarebbe voluto un gran rilancio dell’Estate romana facendo lavorare migliaia di persone impegnate nella cultura, nell’arte, nello spettacolo, nella musica. Invece Virginia si è inventata la trita demagogia della cultura “tutto l’anno”, bella scoperta, come se l’Estate romana, da decenni, non fosse il brand di memorabili iniziative anche invernali: la Raggi andava a scuola ma Bergamo se lo ricorderà certamente il Capodanno al Traforo di tanti anni fa con migliaia di romani in piazza che sembrava di essere a Times Square. Per dirne una, di diecimila iniziative.
Questa damnatio memoriae, questo voler spezzare anche l’ultimo filo – robusto filo – con la storia delle giunte di sinistra è da psicanalisi: nemmeno Gianni Alemanno era arrivato a tanto, lui la cultura la demoliva senza dirlo, bastava non metterci i soldi. Ma persino la giunta post-missina, per un tratto almeno, aveva provato a metter su una sua politica culturale. I grillini invece niente, zero idee: il che è più desolante. Roma è sempre meno allegra, la pandemia di idee causata dalla giunta grillina non verrà sanara facilmente.
Lei, la sindaca, sa poco o nulla di quelle epiche estati, di Massenzio, della cultura nelle periferie, del Festival dei poeti a Ostia, non sa chi siano stati Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli e Renato Nicolini e Gianni Borgna.
E comunque non si trattava di riesumare un’epopea fuori dal suo tempo, ma cercare di rimettere su una politica culturale di massa nella Capitale d’Italia, un discorso che la sindaca grillina cancellando il favoloso brand dell’Estate romana ha dimostrato essere fuori dalla sua sensibilità politica e culturale. Continui così. Con il gatto al posto della Lupa, altro che secondo mandato.