Chiamatela come volete, spigola o branzino, ma sta di fatto che questo pesce, tipico del Mediterraneo, sembra essere refrattario a una cosa: la microplastica presente nel mare. A dirlo è una ricerca dell’Alfred Wegener Institute e dell’Helmholtz Center for Polar and Marine Research (Awi) i cui ricercatori che hanno studiato quante particelle di microplastica vengono assorbite nel tessuto muscolare delle Dicentrarchus labrax, le spigole europee.
I pesci sono stati alimentati per 4 mesi con molte particelle di microplastica e con una dieta composta da farina e olio di pesce, crusca di frumento e vitamine.
Le particelle di microplastica avevano un diametro da uno a cinque micrometri, in modo da rappresentare le microplastiche più piccole. Nel corso dell’esperimento, ogni branzino ha ingerito circa 163 milioni di queste microscopiche particelle. Una volta terminato il test, gli esperti hanno sfilettato il pesce per misurarne il contenuto, raccogliendo anche campioni dal loro sangue, delle branchie, del tratto intestinale e di organi interni come il fegato per farne successive analisi. Ebbene, solo una percentuale estremamente piccola delle particelle di plastica ingerite dalle spigole è stata poi notata nei loro filetti.
Secondo gli esperti questo risultato (che è stato pubblicato sulla rivista scientifica Marine Pollution Bulletin) è già una prima indicazione sul fatto che i filetti di pesce possono ancora essere sicuri per il consumo umano, anche se i pesci sono quotidianamente vittime in acqua di un forte inquinamento da microplastiche.
Per i ricercatori può anche essere possibile che quelle particelle di microplastica rilevate non fossero effettivamente nelle cellule muscolari, ma nelle minuscole quantità di sangue residuo nei filetti. Ora, tutto sta a comprendere se questa refrattarietà della spigola alla microplastica sia tipica di questa specie di pesce o se questa regola valga per tutte le altre.