Manovra d’estateTutti i nodi ancora da risolvere nella maggioranza sul decreto d’agosto

Il governo è diviso sulla proroga del Reddito d’emergenza. Si discute sul prolungamento del blocco dei licenziamenti e anche sulle condizioni per ottenere la nuova cassa integrazione

(Photo by Andreas SOLARO / AFP)

Entro oggi i ministri dovranno presentare al governo gli schemi dei progetti per il Recovery Fund europeo. Ma prima l’esecutivo dovrà far quadrare i conti sul decreto d’agosto da 25 miliardi, atteso entro questa settimana, per tamponare ancora una volta le conseguenze economiche della crisi Covid su imprese e lavoratori. E il modo in cui questi soldi saranno spesi rappresenta il primo compito da portare a termine, prima di superare l’esame di Bruxelles sul piano da presentare entro il 15 ottobre per ottenere l’anticipo del 10% dei 209 miliardi.

Ma sul decreto d’agosto c’è ancora da trovare la quadra per raggiungere un equilibrio tra le misure di sussistenza adottate finora e qualche soluzione che provi almeno stimolare il rilancio economico. La prima bozza del decreto è ancora oggetto di limature e verifiche. E ci sono ancora diverse questioni che dividono il governo.

L’ultimo scontro nella maggioranza si sta consumando sul prolungamento del Reddito d’emergenza. Il termine entro cui dovevano arrivare le domande all’Inps per avere il sussidio era il 31 luglio, ma la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo spinge perché la misura venga prorogata fino al 15 settembre. E con lei la sottosegretaria al ministero dell’Economia Cecilia Guerra di LeU. «Deve essere rinnovato per almeno altri due mesi», ha detto.

Ma l’idea non convince né il Partito democratico, tantomeno Italia Viva. L’accordo raggiunto con i Cinque Stelle, in occasione del decreto rilancio, stabiliva che si sarebbe trattato di una misura una tantum. E i numeri del sussidio sono quelli di un flop. L’obiettivo iniziale era quello di raggiungere 2 milioni di persone, invece hanno intascato l’assegno in 518mila. Su 460mila richieste arrivate all’Inps, la metà è stata rifiutata per assenza di requisiti o perché incomplete. Anche perché il Rem è incompatibile con gli altri bonus erogati a iosa in questo periodo.

La richiesta di una proroga al 15 settembre è arrivata anche dal Forum disuguaglianze e diversità e dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che fanno notare come la campagna di informazione avviata dal governo il 20 luglio scorso ha portato in realtà a una impennata della domande. La proroga, scrivono, potrebbe «consentire a chi ne è venuto a conoscenza più tardi di poter ricevere questo sostegno straordinario: i fondi per garantirlo ai 2 milioni di aventi diritto sono già stati stanziati nel decreto rilancio per cui non ci sarebbero costi aggiuntivi».

Lo stanziamento per il Rem era stato di quasi 1 miliardo di euro. In caso di mancata proroga, resterebbe quindi un tesoretto di circa 700 milioni che potrebbe essere allocato in altre misure, dagli incentivi per le nuove assunzioni al bonus spesa da 2 miliardi che dovrebbe rilanciare i consumi nei settori più colpiti per favorire il rimbalzo dell’economia.

Ma l’intesa va trovata pure sul capitolo lavoro, quello più cospiscuo. A partire dal riferimento alla perdita del fatturato di almeno il 20% nel confronto tra il primo semestre 2020 e quello del 2019 per accedere costi alle nove settimane in più di cassa integrazione Covid. Da più parti fanno notare che il riferimento al solo fatturato potrebbe escludere alcuni aziende che durante il lockdown hanno aumentato sì i ricavi, ma solo per gli ordini da evadere, e che sono comunque in grande difficoltà. bisogna rivedere i criteri, insomma.

E poi c’è il blocco dei licenziamenti, in scadenza il 17 agosto, che dovrebbe essere prorogato fino al 31 dicembre. La bozza del decreto d’agosto contiene una deroga solo per i casi di fallimento o di liquidazione per cessazione. Per la proroga spingono sia i sindacati sia la ministra Catalfo. Ma la misura non piace al ministero dell’Economia di Roberto Gualtieri e viene criticata dal mondo delle imprese, giudicata come un ostacolo alla libertà d’impresa. Anche perché, in tempi normali, in Italia si contano circa 40mila licenziamenti economici al mese. E il rischio è di creare una bolla di potenziali licenziati che prima o poi potrebbe esplodere. Nessun Paese in Europa, tra l’altro, ha adottato una norma così rigida sul blocco dei licenziamenti. Ecco perché si guarda alle formule adottate ad esempio in Francia e in Germania, dove dove il divieto riguarda solo coloro che accedono ai contributi pubblici.

Dopo la perdita di 600mila posti di lavoro da febbraio a giugno, per sostenere l’occupazione il governo dovrebbe poi introdurre sgravi contributivi di due tipi per i datori di lavoro. Il primo, in base alla bozza circolata finora, dovrebbe riguardare le imprese che riportano i lavoratori in attività dopo aver usato la cig. Dovrebbe durare quattro mesi, con una somma proporzionale alle ore di cassa usate. Il secondo tipo di decontribuzione, questa volta al 100%, dovrebbe invece essere indirizzato a coloro che – in piena crisi – assumeranno lavoratori a tempo indeterminato fino al 31 dicembre 2021. In questo caso, lo sgravio durerebbe sei mesi. E lo stesso incentivo dovrebbe valere per le trasformazioni dei contratti a tempo indeterminato.

Bisognerà capire però se l’azienda sarà vincolata ad aumentare, con l’assunzione agevolata, il numero totale dei suoi occupati rispetto ai 12 mesi precedenti, come sembrerebbe dalla bozza circolata. E se ci saranno divieti di licenziamento nel periodo successivo all’assunzione. Aspetti che saranno determinanti per il buon funzionamento della misura. E di cui ancora si discute.

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