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Verso la ricostruzioneAndrea Malacrida: «Ora serve un progetto di lavoro per il futuro»

Il country manager Italia del Gruppo Adecco spiega che le politiche passive adottate finora «non hanno messo le basi per provare ad adattarsi allo sconvolgimento che abbiamo vissuto e che abbiamo sperimentato». Per la ripartenza, dice, l’investimento principale deve essere nel «capitale umano»

(Foto: The Adecco Group)

Il governo è ancora nella fase delle toppe all’emergenza economica, ma l’accordo raggiunto a Bruxelles sul Recovery Fund permette per la prima volta di spostare lo sguardo verso la vera e propria ricostruzione. Al Tesoro si lavora al prossimo decreto da approvare entro Ferragosto, che varrà 25 miliardi di euro di ulteriore deficit. Con una novità che lascia intravedere un cambio di prospettiva rispetto alle politiche di sussistenza adottate finora: la decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato. La cassa integrazione sarà prolungata, ma probabilmente verrà modulata in base all’andamento del fatturato. E così anche il blocco dei licenziamenti non varrà per tutti. E per incentivare l’uscita dalla cassa verrà esteso il meccanismo della decontribuzione a chi riassumerà i dipendenti che finora hanno avuto il sussidio.

«Siamo a fine luglio, la crisi è cominciata il 21 febbraio quando ho chiamato la mia filiale di Codogno: ci si poteva arrivare prima», commenta Andrea Malacrida, country manager Italia del Gruppo Adecco. Le politiche passive adottate finora, dice, «non hanno messo le basi per provare ad adattarsi allo sconvolgimento che abbiamo vissuto e che abbiamo sperimentato».

Dal suo osservatorio, cosa è successo al lavoro in questa crisi?
La prima parola chiave con cui abbiamo imparato a convivere in questi mesi sicuramente è “distanza”. Essere stati costretti a trasformare la propria vita privata in vita lavorativa è stato il cambiamento più forte, che ci ha messo in difficoltà per capire come rientrare sul posto di lavoro continuando a gestire questa distanza.

Ci siamo resi conto però che molte cose possono essere fatte a distanza, appunto.
Una cosa positiva del momento drammatico che abbiamo vissuto è stata l’obbligo di utilizzare strumenti digitali. È stato uno stress test molto forte per capire se almeno tecnologicamente funzioniamo o non funzioniamo. Si è trattato di un primo esercizio che ha obbligato anche gli scettici cronici a rendersi conto che una buona parte delle attività può essere traslata su un fronte digitale.

E cosa accadrà ora? Su quali competenze dovranno puntare aziende e lavoratori?
Servono l’umiltà e la consapevolezza di rendersi conto di quali competenze sia necessario sviluppare rispetto alle sollecitazioni del mercato del lavoro nel medio e lungo periodo, puntando quindi sulla formazione continua. Oggi abbiamo tutte le informazioni per predire quali siano le competenze che servono e modificarle immediatamente. Basta analizzare il mercato tramite indicatori e big data e indirizzare in questo modo la nostra formazione. Il nostro algoritmo PHYD, ovvero la piattaforma del Gruppo Adecco basata sull’Intelligenza Artificiale Microsoft, ha proprio l’obiettivo di orientare le persone nel mondo del lavoro e al fine di coltivare le competenze necessarie per la propria occupabilità. PHYD ha la capacità di mettere insieme i desiderata e i trend del mercato con i desiderata dell’individuo e le competenze che possiede, e sulla base di essi indica come coltivare proprie skill e su cosa puntare per migliorare il proprio indice di occupabilità. Su questo lavorerei senza sosta e senza indugio.

Quali saranno le professioni più ricercate nel medio periodo?
Nei tre mesi di lockdown, ad esempio, per alcune aziende leader nel settore logistico si è osservato un vero e proprio picco, come a Natale. Per poter offrire questo servizio al meglio, da parte delle aziende, occorre uno switch sulla capacità di sviluppare competenze in ambito logistico. Saranno molto in difficoltà nel brevissimo termine i lavori di prossimità: turismo, ristorazione, intrattenimento, spettacolo saranno fortemente sotto pressione e dovranno essere trasformati, creando anche delle posizioni o professioni a tutela di questa tipologia di attività. Servirà poi una grande capacità di comunicazione interna, verso i propri team, e verso il mercato. Certamente ci sarà un grosso sviluppo della sanità, cura della persona, sanificazione, manutenzione dell’area condizionata: tutti settori in crescita che dovranno modernizzarsi. E infine l’edilizia e il design con la necessità di ridisegnare gli spazi di lavoro e di casa.

Qual è il ruolo delle aziende all’interno di questa trasformazione?
Bisognerà fare formazione a tutte le prime linee, che dovranno riuscire a spingere le proprie organizzazioni a lavorare con una cultura della fiducia e della responsabilità piuttosto che con la cultura del sospetto e del controllo.

Come giudica le azioni di governo per far fronte a queste trasformazioni?
La scelta della cassa integrazione generalizzata, confermata nel Decreto Rilancio, è una misura di brevissimo periodo molto tattica, esclusivamente di sussistenza. Una politica passiva che però non ha messo le basi per provare ad adattarsi allo sconvolgimento che abbiamo vissuto e che abbiamo sperimentato. In conseguenza di ciò, il divieto di licenziamento è stata una misura obbligatoria laddove è stata diffusa in maniera massiccia una cassa integrazione senza regole.

Cosa sarebbe servito invece?
Avrei completato i periodi di fermo con periodi obbligatori di apprendimento e formazione per completare spendibilità dei lavoratori o la riadattabilità verso i settori affini o potenzialmente più sani o in crescita del mercato. Al contrario, una distribuzione a pioggia della cassa integrazione, senza sviluppare politiche attive del lavoro, serve a poco. Copre i buchi che si sono creati, ma l’emorragia economica è di gran lunga superiore.

Si è molto parlato di deroghe al decreto dignità, ma alla fine non si è fatto nulla.
Il decreto rilancio è il coronamento di due anni fallimentari di un ministero del Lavoro che ha riportato le regole del mercato del lavoro a vent’anni fa, riuscendo a irrigidire dove non andava irrigidito e creando barriere dove non aveva più senso farlo. Ci si è resi conto che, in una crisi globale come quella legata al Covid, il bisogno di flessibilità era esponenziale ma il ministero in maniera ideologica non ha ammesso l’errore correggendo il Decreto Dignità, togliendo la causale e lasciando libera la possibilità per le aziende di gestire in maniera flessibile una situazione imprevedibile. Abbiamo stimato 1,5 milioni di posti di lavoro persi in sei mesi, dal 21 febbraio. La deroga fino al 30 agosto non permette alcuna azione virtuosa rispetto alla possibilità di dare supporto alle aziende e ai lavoratori. Anzi, la deroga fino a fine anno purtroppo obbliga le aziende a reiterare un contratto a tempo determinato o di somministrazione per il medesimo periodo in cui le stesse aziende lo hanno tenuto in stand by.

Qual è dal suo punto di vista il problema del decreto dignità?
In questi due anni, si sono persi posti di lavoro, poi rimpiazzati con nuovi lavoratori non formati. Dei contratti a tempo determinato che erano al 12esimo mese, solo una minima parte fisiologica di (circa il 10%) è stata trasformata a tempo indeterminato. Il restante 90% è stato sostituito. In pratica è stata moltiplicata la precarietà che il decreto mirava invece a resettare. È stato un fallimento.

Cosa si aspetta dal prossimo decreto di agosto?
Quello che stanno pensando di fare è sgravare, da un punto di vista contributivo, le aziende che non faranno uso della cassa integrazione: questa mossa mi sembra più virtuosa, se affiancata a percorsi formativi e agli sgravi sulle assunzioni. Certo, siamo a fine luglio, la crisi è cominciata il 21 febbraio quando ho chiamato la mia filiale di Codogno: ci si poteva arrivare prima. Di questi cinque mesi, almeno due mesi la quasi totalità degli italiani li ha trascorsi in casa a vedere come cambiavano i numeri dei contagi quando invece avrebbe potuto sistemare il proprio background formativo, riadattarlo alle esigenze del mercato, aggiornarsi.

Quali sono gli elementi strategici che non dovranno mancare nel piano nazionale di rilancio?
Bisogna lavorare sul capitale umano. Finché la scuola non riparte non ripartiranno le imprese, e non solo perché si ostacola la ripresa dei lavori a tutti gli effetti ma perché non si investe sulle competenze. Abbiamo fior fior di esempi di problematiche legate all’assembramento e si sta totalmente sorvolando sull’aspetto scolastico che è quello prioritario. Gli ingredienti chiave per la ripartenza sono: scuola, formazione, digitale e un progetto di lavoro moderno.

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