Paese che vai, stronzi che troviSantiago Abascal vuol diventare il Salvini spagnolo, ma è troppo noioso per riuscirci davvero

Il leader di Vox, partito di estrema destra, sta cercando in tutti i modi di far parlare di sé e di costruirsi un personaggio nazional popolare nonostante appaia spesso goffo e poco carismatico. Allo stesso tempo, però, riesce a dettare l’agenda politica agli altri partiti, troppo impegnati a ragionare secondo vecchi schemi. Con i populisti funziona così: la razionalità non conta

ANDER GILLENEA / AFP

«Porto sempre con me una Smith & Wesson. Prima lo facevo per proteggermi dall’Eta. Ora per proteggere i miei figli». Il virgolettato sa di Clint Eastwood, anzi, di cicca sputata di Clint, e fornisce un certo carisma all’autore, ma l’autore non è altro che Santiago Abascal, leader di Vox, estrema destra spagnola, ormai la terza formazione con più deputati alle Cortes. Il problema è che questo “certo carisma” da divo duro di Hollywood proprio non gli appartiene.

Ho scelto questa frase in modo pavloviano e vi chiedo scusa perché voi siete il cane e la Smith & Wesson era il campanello. La cosa buffa è che Abascal è un uomo senza carattere. Un tipo noioso, nient’affatto spiritoso: niente selfie, niente super liquidator, niente moto d’acqua. L’anti Salvini, insomma. L’anti Bolsonaro. L’anti Trump. Uno che il mojito al Papeete non lo prenderebbe neanche morto. Eppure, purtroppo, potrebbe avere un successo simile agli altri capitani della destra sovranista.

Santiago Abascal non possiede grandi capacità sceniche ma sa scegliere i suoi gesti. La maggioranza dei politici non si fa vedere quest’estate, covid oblige. Lui invece si è fatto fotografare la settimana scorsa alla corrida de toros di Puerto de Santamaría (Cadice), la più importante manifestazione dell’estate. Dopo essere stato in queste settimane il piú veemente difensore di Juan Carlos e della monarchia spagnola. «Toros y rey», più spagnolo di così si muore. 

Ha chiesto di sfrattare chi occupa le case a calci in culo più che legge alla mano. Ha promesso di chiudere le frontiere perché gli immigrati non entrino per «il pericolo sanitario», quando in Spagna i numeri dei contagi per coronavirus sono peggiori che in tutto il nord Africa. E ha avuto anche il tempo di curare il suo profilo banale. Presto vedremo su instagram delle sue foto in spiaggia, al tramonto se possibile, con la sua fidanzata, Lidia Bedman, influencer di moda. Foto che non guastano per conquistare voti. 

Insomma, più che un cialtrone vocazionale e d’istinto, come Salvini, Abascal è un cazzone da laboratorio. Togliete la pancetta e inserite un po’ di muscoli e avrete una variazione palestrata del leader leghista, anche perché le politiche rimangono le stesse. 

Mentre scrivo, ascolto l’ultimo disco, delizioso e pieno di sfumature, dei Colapesce. Suona un brano fantastico e premonitore intitolato “Cicale”. «Paese che vai, stronzi che trovi / Non si può fare il conto, sono a milioni / Paese che vai stronzi che trovi / Sono i peggiori e sopravvivono alle estinzioni».

Abascal è il protagonista della politica spagnola perché ha annunciato, per settembre, una mozione di sfiducia contro Pedro Sánchez. In Spagna tutti gli editorialisti, di sinistra come di destra, hanno trovato la mossa una scemenza. Invece, secondo me (sarà che non scrivo per la Spagna) la mossa è azzeccata, e di brutto. Non perché ci siano possibilità che la sua mozione passi, quello certamente no. Ma non è questo ciò che conta, e noi continuiamo a fare lo stesso errore in ogni paese: giudicare razionalmente i cialtroni sovranisti. Loro non vincono seguendo un percorso logico. Vincono perché della logica se ne fregano.

Il centrodestra, per esempio, sostiene che quella di Abascal sia una strategia sbagliata perché, appunto, non ha nessuna possibilità di sfiduciare in Parlamento Pedro Sánchez.

«A cosa serve in politica lanciarsi in una battaglia persa in partenza?», si chiedono, senza accorgersi che non è Pedro Sánchez il nemico, ma loro stessi, perché la conseguenza di questa mossa è che la politica spagnola dei prossimi mesi si muoverà al ritmo che detta Abascal.

Entrerà in aula con la sua mascherina verde militare con la bandiera spagnola cucita a destra… del naso. E si presenterà come l’unico baluardo che ha il coraggio di provare a fermare Sánchez. Il nuovo Cid Campeador. Più suicida è il gesto, più vantaggio ne trarrà dopo. Adesso pianta l’albero. Alle prossime elezioni raccoglierà i frutti.

Pensate a Jair Bolsonaro, presidente del Brasile. Il suo paese superato i centomila morti per una malattia che aveva definito come una «gripezinha», una banale influenza. Eppure, se si votasse adesso, schiaccerebbe tutti i rivali al primo turno col 53 per cento dei voti. Trovate una spiegazione? No? Invece c’è. Ma non la si può trovare nel nostro solito cassetto mentale. Bisogna cambiare scatola di attrezzi.

Secondo Abascal, quello dei socialisti «è un governo illegittimo perché non ha fatto quello che aveva promesso in campagna elettorale». Il numero dei governi che hanno mantenuto le promesse è uguale a quello delle coppie che hanno rispettato i giuramenti della prima settimana d’amore. Cioè nessuno. Forse Abascal non conosce il significato della parola legittimità. Ma non è questo il punto, tanto che il suo discorso è una maionese che sta cominciando a prendere, soprattutto nelle trasmissioni televisive.

Mettete insieme una disoccupazione che va avanti come un motore a scoppio, una crisi economica e sanitaria, e forse anche elezioni in Catalogna e avete già la scenografia perfetta per trasformare il Clint da discount un Hernán Cortés in piena forma. 

Il disco si chiama “I mortali”. Ha degli spunti di Battiato e di Dalla, con le sue melodie lavoratissime che navigano in un mare elettronico che non disturba mai. E poi arriva il post ritornello di ‘Cicale’, con Colapesce e Dimartino: «E non è questione di DNA, chissà se prima o poi governerà un ultrà…».

In una cena recente, l’ex premier socialista Felipe González ha detto ai compagni di tavola che alle prossime elezioni governerà Vox. Vincerà Abascal con 100 deputati, a cui si aggiungeranno i 90 del centrodestra (la maggioranza è a quota 176 perché nessuno ha pensato ancora a tagliare i deputati come in Italia, ma dategli tempo). Se il vecchio sevillano ha ragione, Vox avrà 10 seggi in più, ma la verità è che ne basta soltanto uno. Il Partito popolare è lanciato da tempo sulla route 66 dell’irrazionalismo, che non porta da Chicago a Santa Monica, ma dal liberalismo al cialtronismo. E quei 90 seggi glieli regalerebbe. 

È la strada Salvini bis, ma senza una Giorgia Meloni di mezzo. Vox, in realtà, assomiglia di più a Fratelli d’Italia, con quell’aroma un po’ di chiesa, un po’ vecchiotto, un po’… beh sì, un po’ franchista. Ma la sua strategia punta verso il “catch-all incazzati” della Lega. Dopodiché il Partito popolare diventerebbe un Forza Italia bis. 

Ma come può un politico triste come Abascal diventare premier con un passato da “chiringuitero”? Qui arriva una bella lezione di spagnolo sarcastico. Chiringuito, da noi, indica un lido balneare, un beach club. Ma mica figo come quelli sardi. Uno proprio scarso, con i tavolini di plastica, una tortilla che non compreresti neanche se fosse l’ultima rimasta al pianeta terra, e una clientela poco raffinata. Ma chiringuito è anche il modo (abbastanza divertente, devo dire) di chiamare le istituzioni che non servono a niente oltre a pagare lo stipendio degli “amici” che ci lavorano. 

Eccolo il bel passato da funzionario “cubano” di Abascal, che lavorava per la regione di Madrid quando era amministrata dal Partito popolare. Prendeva 80 mila euro l’anno come responsabile della Fondazione per la Sponsorizzazione Sociale (un premio, per favore, a quello che ha ideato il nome), della quale lui era l’unico lavoratore. Una istituzione che non esisteva. Che ovviamente non ha fatto un bel niente. Vi immagino pensando: «Ma siete scemi? E qualcuno lo vota?»: cari amici, anche Salvini voleva creare la Padania.

Avevamo detto che gli attrezzi vanno cambiati, e in questo nuovo mondo di cialtroni, i fatti non esistono. La memoria, è chiaro, neanche. 

Ad ascoltare Abascal, uno rimpiange quasi quasi i fascisti che almeno onoravano Gabriele D’Annunzio e avevano letto un paio di libri. Quindici anni fa, sono andato a intervistare Jean Marie Le Pen al Paquebot, la sede storica del allora chiamato Front National a Saint Cloud, nella zona catho-chic del XVIème arrondissement parigino. A un certo punto, in modo inaspettato e a metà di una qualsiasi risposta, Le Pen si alzò è si mise a declamare in spagnolo. Le sue guance diventarono rosse come due ciliegie XL. Pensai che il vecchio deputato fosse andato fuori di testa. Finito il discorso, mi guardò con un mezzo sorriso e mi fece: «Saprebbe terminare la frase?». «Eh, mi dispiace, monsieur Le Pen, non proprio». La finì lui, prima di aggiungere, con tanto orgoglio: «José Antonio Primo de Rivera. Allora, dov’eravamo?».

Stava citando a memoria il fondatore della Falange, il nostro Mussolini. Vecchia scuola. E torna il ritornello dei Colapesce, la dolce malinconia di “Cicale”:

«Paese che vai, stronzi che trovi / Non si può fare il conto, sono a milioni / Paese che vai stronzi che trovi / Sono i peggiori e sopravvivono alle estinzioni».

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