Ci vuole un certo stomaco per affrontare le strambe bevande in mostra in questi giorni al Disgusting Food Museum di Malmö, in Svezia: tra gli altri, gin preparato con le formiche e birra ai testicoli di balena aromatizzata con lo sterco affumicato di pecora islandese. Altro che happy hour.
La collezione permanente del museo non è da meno: una carrellata degli orrori che mette insieme ottanta cibi disgustosi provenienti da tutto il mondo (l’Italia fa la sua parte con il Casu marzu sardo, formaggio caprino colonizzato dalle larve della mosca casearia). C’è la zuppa di bulbo oculare di pecora, sostanzialmente l’occhio dell’ovino conservato in salamoia e versato in un bicchiere di succo di pomodoro, antico rimedio mongolo per combattere i postumi di una sbornia, e il surströmming, un’aringa fatta fermentare in salamoia per sei mesi e poi inscatolata, da consumare rigorosamente all’aperto per ovvie ragioni. Alcuni cibi si possono annusare, altri toccare, qualcuno addirittura assaggiare. I commenti dei visitatori sono entusiasti, l’esperienza è strabiliante e rimane impressa a lungo. Obiettivo del museo è spingere a riflettere sulle ragioni per cui proviamo disgusto, una delle sei emozioni umane fondamentali; mentre l’emozione è universale, i cibi che troviamo disgustosi non lo sono. Ciò che appare invitante in una cultura può essere respingente in un’altra. Il giudizio dipende dalla soggettività culturale e dai sapori con i quali siamo cresciuti. In ogni caso, quello che ci piace non è scolpito nella pietra, le papille gustative si evolvono. Chi se la sente può provare. Per tutti gli altri, ecco la nostra selezione di musei che celebrano il cibo buono, anzi buonissimo, in tutte le sue forme. Dieci indirizzi (più uno) dove rifarsi gli occhi e il palato.
- Nell’Olimpo del vino
C’è più di una ragione per una gita fuori porta nel bel mezzo del foliage autunnale; una di queste è il Wimu, il museo del vino di Barolo, in provincia di Cuneo. L’allestimento, curato dallo svizzero François Confino, uno dei più apprezzati allestitori museali del mondo, è concepito come una discesa in profondità nella cultura del vino. La visita inizia dall’ultimo piano del castello comunale che domina il paese e si snoda attraverso le stanze del maniero fino ai sotterranei che un tempo ospitavano le vecchie cantine d’invecchiamento delle botti. Il castello è anche sede dell’enoteca regionale del Barolo che, con suoi oltre cento produttori associati, propone la più ampia vetrina di etichette del re dei vini.
Ma non è finita perché nella stessa piazza del castello qualcuno ha ben pensato di allestire un (geniale) museo dei cavatappi che mostra 500 rarità provenienti da tutto il mondo, realizzate a partire dalla seconda metà del 1600. Un piccolo viaggio alla scoperta di questo utensile semplice ma ricco di storia e di curiosità.
- Il museo della frutta di cera
Torino ha moltissimi musei ma ce n’è uno poco conosciuto dedicato alla frutta che raccoglie oltre mille riproduzioni in cera, soprattutto mele e pere, opera di Francesco Garnier Valletti, agronomo e scultore, assiduo frequentatore nell’Ottocento di diverse corti europee. Una piccola chicca che vale la pena visitare per comprendere l’enorme varietà di cultivar presenti in natura. Il viaggio botanico tra le austere teche in legno dura circa un’ora. Le riproduzioni sono talmente fedeli agli originali che a un certo punto vien voglia di addentare qualche frutto. Non fatelo! Tuttalpiù, dal momento che sono anche bellissimi, li si può fotografare a volontà.
- L’orto dei frutti dimenticati
Parla una lingua antica anche l’orto dei frutti dimenticati di Pennabilli, vicino Rimini, un piccolo paradiso nato negli anni Novanta da un’idea del poeta e sceneggiatore Tonino Guerra. Non è un museo classico ma un luogo aperto che custodisce numerose piante da frutto dimenticate o destinate all’estinzione come la corniola (una sorta di ciliegia allungata), il Giuggiolo, la pera cotogna, l’uva spina, la ciliegia Cuccarina, il Biricoccolo (una susina blu con la buccia vellutata simile all’albicocca) e il nespolo del Giappone. Pennabilli è il fulcro del museo diffuso “I luoghi dell’anima” che comprende sette diversi musei sparsi nella zona, figli della fantasia e della generosità di Tonino Guerra.
- La mecca del cioccolato
Poteva forse il cioccolato non avere il suo tempio? A Kilchberg, Svizzera tedesca, i maîtres chocolatiers hanno appena aperto le porte della Lindt Home of Chocolate, una costruzione futuristica affacciata sul lago di Zurigo. Una fontana di cioccolato alta nove metri dà il benvenuto agli ospiti e introduce alla fabbrica dei sogni. Oltre all’impianto di ricerca con produzione a vista, questo paradiso comprende un percorso interattivo che dalle piantagioni del Ghana conduce sulle tracce dei pionieri svizzeri e un laboratorio dove è possibile mettere le mani in pasta e creare tavolette, lollipop e cioccolatini dalle svariate forme sotto la guida dei maestri cioccolatieri. Alla fine del tour c’è la sala più attesa, ribattezzata non a caso Chocolate Heaven, dove una montagna di praline attendono di essere assaggiate.
- Anche il lievito madre ha la sua biblioteca
Pensavate che il lievito madre fosse identico ovunque nel mondo? Neanche per sogno. Puratos, azienda internazionale attiva nel settore della panificazione, della pasticceria e del cioccolato, dal 2013 cura una sorta di biblioteca, simile per certi versi a una banca, che raccoglie lieviti naturali. Il Center for Bread Flavour, in Belgio, nasce con l’obiettivo di tutelare la biodiversità e preservare il patrimonio di conoscenza legato alla panificazione. Ad oggi i lieviti madre censiti sono 125, provenienti da 25 diversi paesi nel mondo ma la banca dati è aperta e in continua evoluzione. I microrganismi vengono immagazzinati in un freezer a -80° C, in modo da preservarli per il futuro mentre i lieviti vengono rinfrescati ogni due mesi con la farina originale con cui sono stati prodotti. Il museo non è aperto al pubblico ma è sempre possibile una visita virtuale.
- L’universo pop delle caramelle Haribò
Tappa obbligata se si passa dalla parti di Avignone con bambini al seguito, il museo delle caramelle Haribò, a Uzès, apre un universo psichedelico a grandi e piccini. Stanza dopo stanza si scoprono gli affascinanti segreti del complesso processo di produzione, i vecchi metodi di confezionamento, il passaggio dalla latta al moderno packaging e ancora manifesti, vecchie scatole e pubblicità che permettono di percorrere un viaggio nel passato. L’azienda nasce nel 1920 grazie a un certo Hans Riegel e dieci anni dopo conta già 160 dipendenti. Buona parte del merito va al mitico orsetto gommoso, il primo di una lunga serie di invenzioni fortunate del fondatore, che per la forma della prima caramella si era ispirato agli orsi ballerini usati per divertire il pubblico durante le feste dei villaggi nell’Ottocento. Il museo comprende un percorso olfattivo dedicato ai bambini e l’immancabile shop.
- Nel regno della birra
Ci sono diversi musei dedicati alla birra in Europa, in Germania, Belgio, Austria, Irlanda, Inghilterra… ma quello olandese è forse il più coinvolgente. L’edificio storico nel centro di Amsterdam sede del museo era originariamente il primo birrificio Heineken. Fondato nel 1873 dal giovane Gerard Heineken, è rimasto in funzione per più di un secolo, fino al 1991 quando, a seguito del trasferimento del ciclo produttivo in un’altra sede, la struttura è stata convertita in museo. In Stadhouderskade 78, nel quartiere De Pijp, si vive l’Heineken experience attraverso un percorso immersivo. Tra i vecchi fermentatori in rame, si assaggia la birra non ancora fermentata e tra simulazioni in 3D, proiezioni di documentari, musica, videogiochi, set per foto ricordo c’è anche la possibilità di realizzare una bottiglia di birra con etichetta personalizzata. L’ultimo piano del museo è dedicato alla degustazione e all’autoproduzione.
- Sua maestà la liquirizia
Torniamo in Italia per un’altra prelibatezza della nostra gastronomia, la liquirizia, prodotto tipico della Calabria. La storia di queste radici che crescono spontanee lungo la costa ionica si intreccia con quella della famiglia Amarelli, le cui origini risalgono all’anno Mille. A Rossano, in provincia di Cosenza, c’è la sede del museo Giorgio Amarelli. Qui, perennemente immersi nel dolce profumo di liquirizia, si può assistere a tutte le fasi della lavorazione, dai covoni di radice pronti per essere lavorati agli impianti per l’estrazione, fino agli antichi cuocitori dove si addensa la pasta nera alle trafile in bronzo che le conferiscono forma e spessore. A fine percorso, nel Liquorice Shop e nel Museum Cafè, spazio a una verticale di bontà, tra bastoncini di legno grezzo, liquirizie con menta e anice, gommose all’arancia, al limone, alla violetta e confetti colorati. Visite guidate su prenotazione.
- Alla scoperta dell’oro nero di Modena
In Italia c’è un altro prezioso oro nero che ha per capitale Modena. Nel cuore dell’Emilia, dove le botti custodiscono pazientemente per anni ottimo vino, ci sono le famose acetaie conosciute in tutto il mondo. La più antica ha più di quattro secoli e appartiene alla famiglia Giusti che da un paio d’anni ha allestito anche un piccolo museo. Le dieci sale tematiche accompagnano alla scoperta di questo prodotto nobile e antico attraverso l’inestimabile patrimonio di oggetti e documenti conservati da generazioni: dagli antichi orci usati per la conservazione agli strumenti utilizzati nei secoli dagli acetieri, fino alle prime bottiglie e dépliant pubblicitari di inizio Novecento. Tra i cimeli più preziosi, la botte A3 con cui Giuseppe Giusti si presentò a Firenze nel 1861 in occasione dell’Esposizione Italiana indetta dai Savoia, ottenendo una medaglia d’oro per un balsamico di 90 anni. A conclusione del tour, un percorso in purezza sulla linea degli invecchiamenti e delle ricette originali del Gran Deposito Giuseppe Giusti consente di conoscere le diverse tipologie di aceto balsamico e scoprire le possibilità di abbinamento.
- Il tempio del caffè
Arturo Morettino, terza generazione impegnata nell’azienda di famiglia, racconta che il nonno, nel 1920, aprì una bottega di spezie coloniali a Palermo; l’attività fu ampliata a partire dagli Anni Cinquanta dal padre che avviò la torrefazione. Non distante dal luogo dove tutto ebbe origine, sorge oggi il museo, ricavato all’interno dell’impianto di produzione. Vi si accede attraversando passerelle sospese sui macchinari, accompagnati dal profumo inebriante della tostatura che si sprigiona dal basso. All’interno, la collezione vanta oltre mille pezzi, tra cui una biblioteca con testi in francese, inglese, tedesco e spagnolo, una raccolta di dipinti a tema e cimeli rarissimi come i macinini portatili che i soldati delle truppe del generale Diaz realizzarono durante la Prima Guerra Mondiale. Il caffè fu introdotto come bevanda energizzante per mantenere in forze i fanti e furono proprio i soldati, finita la guerra, a diffondere in Italia l’abitudine di bere il caffè per iniziare la giornata.
10+1. Quando qualcosa va storto
Chi non ha mai incenerito un toast o bruciato, con stile s’intende, un arrosto? Deborah Henson-Conant ha trasformato i suoi disastri ai fornelli in cimeli da museo, consegnandoli a futura memoria. Il Burnt Food Museum, il museo del cibo bruciato, ha sede negli Stati Uniti, in Virginia, e deve la sua creazione a una telefonata inopportuna. Una sera Deborah si distrae più del dovuto e il sidro di mele che sta cuocendo, lentamente ma inesorabilmente, si trasforma in un cumulo di cenere. Il museo raccoglie altre irresistibili perle come le “Patate cotte tre volte”, il set “Pizza toast” e “Certo, puoi cuocere la quiche nel microonde”. Chiunque può partecipare inviando le sue creazioni. Il museo, tra l’ironico e il surreale, suggerisce la via più semplice per diventare contributor: «Lascia sempre la fiamma al minimo e poi fai un lungo sonnellino» seguito dal suggerimento di non lesinare mai su estintori e rilevatori di fumo. Visite su prenotazione con tanto di show e aneddoti raccontati dal vivo da Deborah. What else?