La fantascienza del Day-After (il giorno dopo il disastro atomico, dopo l’epidemia misteriosa, dopo l’invasione Zombie) ha prodotto migliaia di pagine sui modelli sanitari dell’emergenza, solitamente immaginando l’esclusione di larghe fasce della popolazione da cure mediche diventate troppo scarse per essere distribuite a tutti.
Vecchi, disabili, obesi, malati – insomma i «non produttivi» – in questi mondi immaginari vengono lasciati alla loro sorte: ridotti a curarsi con le erbe, o dalle fattucchiere, organizzano rivolte per saccheggiare i depositi di antibiotici e Aspirina.
Con meno drammaticità, è un problema che si porrà anche a noi italiani, europei, occidentali, adesso che è in arrivo il vaccino anti-Covid e si dovranno stabilire le priorità nella somministrazione delle dosi immediatamente disponibili, con il rischio di introdurre nuovi elementi di lacerazione e scontro nei nostri mondi già scossi dal virus.
Il prodotto Pfizer di cui si parla dovrebbe arrivare in Italia a fine gennaio in dosi sufficienti a vaccinare un milione e 700mila persone. Le anticipazioni sostengono che i primi a beneficiarne saranno gli operatori sanitari, gli anziani, i malati cronici, dipendenti delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco, ma già qui siamo «fuori con l’accuso». Nella Sanità, tra pubblico e privato, lavorano almeno un milione di persone. La pubblica sicurezza ne impiega almeno 350mila. Gli over-75 sono oltre sette milioni. Ammesso che le categorie fortunate siano davvero queste, anche al loro interno si dovranno stabilire delle priorità.
Non sarà un problema da poco, ed è necessario porselo da subito. Il piano di distribuzione sul vaccino ci dirà che idea abbiamo della nostra società, quali sono i settori che riteniamo vitali, da proteggere a ogni costo, anche quello di sfidare gli ovvi egoismi di categoria, anagrafici, economici, censitari.
La scuola, ad esempio: resterà Cenerentola della crisi, o riconosceremo all’istruzione pubblica il ruolo centrale che altri Paesi gli hanno assegnato, mettendo in sicurezza quantomeno gli insegnanti delle elementari e delle medie? E il lavoro, quale posto avrà assegnato nella coda dietro a medici e infermieri?
Il piano di distribuzione del vaccino non sarà solo una questione di celle frigorifere o quote regionali, ma aprirà – dovrebbe aprire fin da ora – un dibattito di tipo etico e sociale a cui la società italiana è ormai disabituata, come ha dimostrato la recente polemica nata dal tweet del governatore Giovanni Toti sui «non indispensabili».
Possiamo negarlo quanto ci pare, ma la scoperta dell’antidoto al Covid ci riproporrà, in termini più rocciosi, la stessa domanda che ha aleggiato in tutto il dibattito sul lockdown e sulle chiusure selettive, che poi è la domanda di ogni naufragio: chi sale per primo sulle scialuppe di salvataggio?
Se la scelta del personale sanitario è ovvia e non opinabile, tutto il resto lo è, anche sotto il profilo dell’efficienza nella lotta del virus: si dovrà decidere se l’urgenza è proteggere chi rischia la vita (gli anziani), immunizzare i potenziali super-diffusori (i bambini, i giovani), oppure tutelare prioritariamente il lavoro e l’economia, e in quali settori.
Qualunque sia la scelta, dovrà essere spiegata con chiarezza al Paese, chiamando le diverse categorie allo sforzo solidale di aspettare il loro turno in nome di un progetto di ritorno alla normalità trasparente e comprensibile per tutti.
Incrociamo le dita. Speriamo che i campioni della comunicazione emotiva, governatori e virologi-star innanzitutto, rinuncino ad applicare le loro tattiche arruffapopolo e si convincano alla gestione condivisa della fase che sta per aprirsi. Speriamo che il governo si renda conto per tempo che assegnare i numeretti nella fila per i vaccini non è un lavoro burocratico ma eminentemente politico. La sola alternativa è un Day After di confusione e conflitto che davvero non possiamo permetterci.