Anno nuovo vita nuovaNel 2021 continueranno a consegnarci la cena a casa?

Il delivery è stato la cifra gastronomica del 2020 e della situazione di emergenza che ha segnato questa annata. Continuerà anche l’anno prossimo? La parola ai protagonisti, chef e ristoratori

Quando si dice «fare di necessità virtù». Le chiusure dettate dalla pandemia hanno portato ad aguzzare l’ingegno: così l’offerta di delivery si è ampliata e si è diversificata. Farsi portare a casa una cena già pronta o un menu di piatti da “finire” in autonomia nella propria cucina è comunque piacevole, soprattutto in quei momenti in cui non si può o non si ha voglia di uscire: ci si chiede così se questa tendenza è destinata a sopravvivere o se scomparirà insieme all’emergenza Covid, quando questa finirà.

Lo chef Rocco De Santis è positivo per quanto riguarda l’esperienza di delivery dell’Osteria Pagliazza del Brunelleschi Hotel di Firenze: «è nato in risposta a un’esigenza, per poter mantenere a galla le varie attività; chi è stato impeccabile nella suo format di delivery ha tramutato un’occasione in una opportunità di ampliare  la propria offerta gastronomica anche quando tutto si sbloccherà: quindi è giusto continuare anche nel 2021. È un modo per essere vicini alle persone che desiderano essere sedute al tuo ristorante, e pur di mangiare i tuoi piatti ricercati, scelgono questo sistema di consegna a domicilio». Altrettanto positivo è Matteo Rombolotti di Foodbeats: «Crediamo enormemente nel potenziale del delivery e nella sua evoluzione, le cooking box, tanto che insieme a Claudia Galanti abbiamo fondato una start up. L’idea mi è venuta durante lo scorso lockdown e ha preso velocemente quota tanto che oggi stiamo esportando il format e vendiamo le nostre box anche fuori Italia, soprattutto in Francia, Belgio e Principato di Monaco». Uno sguardo puntato verso il futuro, dunque, come quello di Andrea Cutillo, chef di Particolare a Milano: «Penso che il delivery e l’asporto siano un trend momentaneo, almeno fino a che non si tornerà totalmente alla normalità; però ci credo, e mi sono subito attrezzato per rispondere al meglio alle nuove esigenze dei lavoratori e dei clienti storici, che non possono fare altro che attuare questo escamotage per mangiare al ristorante. Penso che il futuro invece siano le cooking box, ovvero box, per ricreare a casa il piatto dello chef, impossibile da portare in delivery, come potrebbe essere uno spaghetto espresso o un risotto all’onda. Ne ho creati una decina, che possono diventare anche un regalo natalizio. Vedo infatti una grande attenzione in questo periodo, e gli ordini si incentrano più su questa tipologia, che si può mandare in tutta Italia, piuttosto che sul delivery».

Cooking box e piatti da rigenerare sembrano essere il futuro più probabile: «sono sicuramente un retaggio che ci rimarrà da questo periodo di difficoltà». Ne è convinto Francesco Corradi, General Manager di Exè a Fiorano Modenese, che racconta: «il nostro delivery ha funzionato molto bene durante il primo lockdown. Abbiamo creato un portale per gli acquisti, ci siamo attrezzati per fornire menu alle aziende per la pausa pranzo, con tanto di contenitori e posate biodegradabili. E proprio il lavoro con le aziende è proseguito anche dopo la riapertura, mentre quello con i privati ha rallentato. Va anche ricordato che all’inizio portavamo i piatti caldi, pronti, poi abbiamo messo a punto un sistema di rigenerazione che consente di gestire meglio le consegne e assicurare maggior qualità. È un sistema che applichiamo anche alle pizze gourmet. Io personalmente mi auguro che il delivery non continui, che il mondo torni quello di prima. Dal lato aziendale occorre considerare che le grandi imprese hanno la mensa, quelle medio piccole hanno problemi per quanto riguarda gli spazi dove poter mangiare. E per i privati penso che la voglia di socialità prevarrà sulla comodità. Ovviamente tutto dipende dai tempi e dall’efficacia del vaccino». Rimane però il grande investimento in termini di ricerca e di impegno che ha portato a queste soluzioni di consegna a domicilio. «Noi terremo come offerta i piatti da finire di cucinare a casa» continua Corradi «anzi, sarebbe bello espandere il progetto su scala nazionale. Si darebbe modo ai gourmet curiosi di provare più ristoranti di post lontani senza muoversi da casa. Qualcosa certamente resterà di questa esperienza: se non fosse stato per il coronavirus, non avremmo mai pensato a un sistema di rigenerazione di piatti e pizze. Un sistema che, al di là dei volumi, è un segnale di presenza. Una parte rimarrà, anche senza grandi numeri».

Exè

Studio e attenzione sono al centro anche della proposta di DistrEAT di Milano, così come il desiderio di tornare all’esperienza diretta. Lo chef Federico Sordo parla a nome di tutto lo staff: «Il delivery si sta rivelando un’esperienza interessante perché ci sta dando la possibilità di ampliare il nostro target; inoltre è l’unico modo in questo momento per mantenere un contatto con la nostra clientela. Questo, dunque, il “valore” del servizio di consegna che però ha dei limiti oggettivi, soprattutto per ristoranti gourmet: la linea di cucina che contraddistingue innanzitutto il menu della sera non si concilia con il servizio d’asporto, perché tecnica e qualità del servizio non possono essere racchiusi in una scatola. È stato per questo che, tra i primi a Milano, abbiamo messo a punto il format dei kit, nati con lo scopo di mantenere inalterata la qualità. Lo strumento del delivery deve tenere conto di tantissime variabili, non da ultimo il fornitore al quale ci si affida per la consegna, parte fondamentale nella filiera di “produzione” di un piatto. Il delivery non si può improvvisare, ma richiede molta energia e altrettanta attenzione. Energia e attenzione che sono parte integrante del lavoro di uno staff di un ristorante: dalla cucina al servizio in sala, fino alla scelta delle stoviglie, in un locale gourmet ogni dettaglio concorre alla realizzazione di un’autentica esperienza. Ecco, per quanto il delivery possa essere efficace, mai potrà sostituire l’esperienza a tavola. Ma se è vero che la cura e l’attenzione che portiamo in tavola non possono stare dentro una box, è altrettanto vero che mettere a punto la nostra strategia di delivery ha rafforzato la nostra idea di fare impresa nella ristorazione: non ci si deve fermare mai; un ristoratore deve sempre buttare nella propria impresa la stessa forza creativa che mette nel predisporre su di un piatto una pietanza. Solo così si fa impresa e ci si continua a divertire facendolo».

DistrEAT

 

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