Una condizione pesante che incide sulla qualità della vita, a tratti può diventare invalidante e, in tempo di Covid, anche arrivare ad assumere i tratti di uno stigma. Parliamo della tosse cronica, quella che scientificamente dura più di 8 settimane e riesce a togliere sonno e concentrazione, generando ansia e stress. Un disturbo che colpisce il 10% della popolazione mondiale fra i 50 e i 60 anni, soprattutto donne, ma sul quale ancora oggi mancano consapevolezza e attenzione, sia da parte dei pazienti che dagli operatori sanitari.
«Si tratta di una patologia sommersa per i pazienti, ma disarmante anche per il medico stesso», spiega Goffredo Freddi, Executive Director Policy e Communication di MSD Italia in occasione del convegno “La tosse cronica ai tempi del Covid-19: impatti sociali, sanitari e organizzativi”, promosso da MSD Italia. Troppo spesso, infatti, la tosse è vista come un sintomo secondario di un problema di altra natura, e dunque non considerata nel quadro diagnostico, mentre invece è spesso una patologia a sé stante, che in quanto tale andrebbe controllata e curata in autonomia.
È anche per questo che MSD ha lanciato di recente una campagna di sensibilizzazione insieme a Federfarma, oltre a un’app “Conta Tosse”, proprio per informare e aiutare i pazienti che soffrono di questo disturbo ad aumentare il livello di consapevolezza propria e altrui.
«Spesso la tosse può essere un sintomo ignorato di patologia polmonare anche grave, eppure paradossalmente abbiamo pochi trattamenti per curarla», spiega Luca Richeldi, presidente della Società italiana di Pneumologia. «È anche uno dei pochi parametri che non quantifichiamo come medici. In realtà, è un ambito dove c’è ampio spazio per la diagnostica, un buco nero per la terapia e un grande spazio per l’awareness».
Coloro che soffrono di tosse cronica spesso faticano ad avere una vita normale. «Non si tratta solo di effetti collaterali – che a volte possono essere anche molto gravi, dall’infiammazione alla trachea fino all’incontinenza – ma del fatto che la tosse persistente non è un problema solo per chi usa la voce come strumento di lavoro, ad esempio, ma proprio per tutti, perché investe tutta la sfera della persona», puntualizza Filomena Bugliaro, coordinatrice della rete Federasma e Allergie Onlus.
Si tratta anche di un problema in crescita fra la popolazione. Se ad oggi in Italia soffrono di tosse cronica circa 3,3 milioni di persone, secondo l’economista Andrea Piano Mortari dell’Università Tor Vergata entro il 2030 questo numero potrebbe salire a 5,5 milioni, con impatti economici rilevanti. Nel 2020, infatti, già oltre 1,7 miliardi di euro sono stati spesi dagli italiani fra visite specialistiche, diagnostica, farmaci, terapie come cure termali e aerosol; costi che potrebbero salire oltre i 2,5 miliardi entro i prossimi 10 anni. Di pari passo vanno anche i costi indiretti, legati alla perdita di produttività: per la sola popolazione in età lavorativa, tra i 18 e i 65 anni, nel 2020 si sono già persi 2,2 miliardi di euro, una cifra quasi pari ai costi diretti sanitari. Fra costi diretti e indiretti, i ricercatori calcolano che entro il 2030 il problema della tosse cronica potrebbe arrivare a costare quasi 6 miliardi di euro all’anno.
Questo, almeno, se continueranno a non esserci farmaci o terapie più efficaci di quelli odierni. In questo senso la ricerca – «che su questo tema si limita a meno di dieci pubblicazioni all’anno», specifica Gaetano Guglielmi, vicedirettore generale della Ricerca e dell’innovazione in Sanità al Ministero della Salute – è fondamentale. Con i fondi del Next Generation Eu dovrebbe presto arrivare una maggiore disponibilità di risorse per fare ricerca anche in questo campo, «anche attraverso collaborazioni fra pubblico e privato», precisa Guglielmi, ma i progetti specifici sono ancora lontani dall’essere definiti chiaramente, per cui non si può che attendere tenendo alta l’attenzione sul tema.
Mentre per i pazienti, un risultato concreto sarebbe la creazione di centri specifici. «La pandemia ha avuto il merito di accendere un faro su un problema sottostimato, lasciato in gestione prima al medico di base e poi allo specialista, ma quale? Otorino, pneumologo, gastroenterologo: ci vorrebbe un coordinamento per identificare e trattare le cause in modo specifico, attraverso la diffusione di centri specialistici», conclude Alessandro Zanasi, presidente dell’Associazione Italiana Studio Tosse. Ad oggi ce ne sono solo due sul territorio nazionale, uno a Firenze e uno a Bologna. Troppo pochi, vista la rilevanza del problema. Non solo durante l’emergenza coronavirus.