Trump ha bisogno di attenzione
«È stato un mostro. La violenza che ha provocato è stata folle e oltre ogni limite». Non lo ha detto un attivista di Black Lives Matter, ma un ex collaboratore di Donald Trump, ieri, al Washington Post. Uno di quelli che hanno visto/avallato/fatto di tutto, in questi anni, e ora sanno che saranno per sempre associati alla peggiore presidenza di sempre. E ora sono «imbarazzati», e raccontano delle ultime giornate insensate alla Casa Bianca. «A nessuno importa più nulla, di nulla. Tutti si sentono sconfitti e aspettano solo il 20 gennaio». Alcuni, dopo il 6 gennaio, volevano dimettersi, poi hanno deciso di restare per garantire qualche brandello di transizione pacifica. E per tentare di salvare o quasi la reputazione, diventando quelli che hanno evitato le ultime pazzie di Trump.
Intanto Trump non esce dal giorno dell’assalto al Campidoglio. Ieri ha visto il vicepresidente Mike Pence, dopo giorni in cui non gli ha parlato. Non si è neanche informato se stesse bene durante e dopo l’assalto al Congresso, anche se parte degli assaltatori si dichiaravano favorevoli all’impiccagione di Pence (anche grazie a un suo tweet). E Trump lo accusa di averlo tradito perché ha accettato il risultato elettorale. Lui non lo accetta, riferiscono, continua a inveire contro Pence («l’ho creato io, l’ho salvato dalla morte politica e lui mi accoltella alla schiena») e tuttora rifiuta di ammettere di aver perso.
Altre fonti raccontano dell’attivismo della figlia Ivanka (secondo altre fonti ancora, a raccontare sarebbe Ivanka). Lo avrebbe convinto a star buono. A non incoraggiare – come pare volesse – altre violenze. Ma tutte le fonti avvertono: «È da vedere cosa sta progettando per i prossimi giorni». Probabilmente, avendo più che mai bisogno di attenzione, un ultimo discorso. Lo anticipa uno dei fedelissimi, Jason Miller (quello che maltratta mogli fidanzate donne in generale); e anticipa il dilemma delle reti televisive, dovranno decidere se fare come Twitter e non ospitare Trump, o mandarlo in diretta. «Alla gente dei media direi: state attenti a quel che desiderate», ha concluso, e tanti vorrebbero non aver capito.
Melania commemora i caduti
Anche Melania, dicono, è furiosa con Trump. Secondo il New York Times, non avrebbe trovato una buona idea il tentativo di golpe; e avrebbe voluto presenziare all’inaugurazione di Biden. Ha comunque prodotto un comunicato in cui dice di essere oggetto di «salaci pettegolezzi e violenti attacchi personali» dal 6 gennaio. E in cui commemora i morti del Campidoglio: prima i quattro assaltatori, poi i due poliziotti.
Melania Trump condanna le violenze, naturalmente non dà colpe al marito, e forse la storia di questo comunicato sarà una puntata della miniserie sul crepuscolo di Trump: e si ricostruirà chi l’ha scritto, e perché. Anche perché Melania viene descritta come una che ha fatto il checkout: «Non è più mentalmente ed emotivamente disponibile a essere coinvolta», con questa presidenza, o magari col presidente, non si sa.
Twitter e i Trump
Fino a pochi giorni fa, Twitter traboccava di Trump. Dopo la cacciata di Donald senior sono diventati rari. Ivanka non twitta dal 7 gennaio, Eric dal 6 (aveva ritwittato il padre), e Donald junior è costretto a twittare per tutti, e si scaglia cacciarianamente contro la censura e la libertà di espressione e la dittatura del politicamente corretto e le donne trans (ritwitta un comico). E promuove il suo nuovo sito, con una home page tutta nera, qualche slogan inquietante e il suo libro in vendita con un clic.
La stanchezza dei repubblicani
«Parlando coi repubblicani della collina (the Hill, la collina del Campidoglio, ndr), ho la sensazione che anche quelli estranei alle bugie elettorali, alla tentata sedizione e all’incitamento alla rivolta non si rendano veramente conto di quanto sia stata drammatica l’ultima settimana. Molti vogliono ripartire e ricominciare a discutere di leggi come se non fosse successo niente», twittava ieri Jake Tapper della Cnn. «Tra i repubblicani che dissentivano dalle accuse di brogli e ora sono sulle barricate contro l’impeachment o sono semplicemente contrari, nessuno sembra pensare che Trump non meriti l’impeachment. Ma temono di dividere il paese e di mettere in pericolo altre vite, incluse le loro», si leggeva ieri su Politico.
E i repubblicani, in generale, vorrebbero glissare sull’ultima settimana. Qualcuno perché non ha studiato i totalitarismi, qualcuno perché ha paura di non essere rieletto in distretti trumpianissimi, qualcuno perché ha paura dei trumpianissimi. È il caso del leader di minoranza alla Camera, il californiano Kevin McCarthy. Lui e il quasi ex leader di maggioranza al Senato, Mitch McConnell avevano concordato, se Trump fosse stato sconfitto e avesse rifiutato di concedere, di scrivere un comunicato congiunto riconoscendo la vittoria di Biden. Il comunicato non è mai uscito, McCarthy si è allineato a Trump lasciando solo McConnell. Poi, ieri, in una conference call, McCarthy a sorpresa ha detto che Trump ha delle responsabilità per guerriglia e occupazione del Campidoglio, e forse così sta cercando di riavvicinarsi al senatore del Kentucky e il resto della vecchia guardia. Intenzionata, scrive Josh Kraushaar sul National Journal, «a dichiarare guerra al Team Trump».
Altri, più giovani, più estremisti, più simili agli assaltatori del Congresso, sono pronti a prendersela con i vecchi; un po’ come fanno i trumpiani in transito negli aeroporti, che hanno urlato contro Mitt Romney e pure contro Lindsey Graham perché ha detto che ha vinto Biden. Come forse vogliono fare i nuovi arditi del trumpismo, che pianificano sempre nuove iniziative. L’ultima, segnalata ieri dall’Fbi, sarebbe di un «gruppo armato non identificato che intende andare a Washington il 16 gennaio». Magari non per fare un colpo di stato, ma per impaurire e destabilizzare (e il marasma del Grand Old Party, diciamo, non aiuta).
Multinazionali e Resistance
L’At&T ha annunciato di voler «sospendere i contributi elettorali ai membri del Congresso che hanno votato per mettere in discussione la certificazione dei voti del collegio elettorale», da Ted Cruz e Josh Hawley in giu. Mentre a Twitter sono preoccupati per le reazioni alla cacciata di Trump. Ieri a San Francisco la polizia ha rafforzato la protezione del suo quartier generale, si temono aggressioni, attentati, manifestazioni violente. Sul forum sovranista TheDonald.win si raccomandava ai partecipanti di portare «megafoni, e manette» per fare citizens’ arrests, forse da Jack Dorsey in giù. Ma San Francisco non è Trump Country, e alla protesta è arrivata una sola persona (intanto ieri sera Deutsche Bank, a cui Trump deve centinaia di milioni, ha annunciato che non farà più affari con lui).
La lunga decadenza di Rudy Giuliani
Dopo la tinta che colava in faccia, la mano nei pantaloni nel film di Borat, la conferenza stampa al Four Season Total Landscaping, le testimoni ubriache e i millemila ricorsi elettorali persi in giro per gli Stati in bilico, l’ex sindaco d’America Rudy Giuliani potrebbe essere cacciato dall’ordine degli avvocati di New York.
Dopo il 6 gennaio, dopo centinaia di lamentele dei suoi membri, la New York State Bar Association ha iniziato un procedimento disciplinare «basato sulle proteste e sulle dichiarazioni di Giuliani prima dell’attacco al Campidoglio (aveva invocato duelli e altro, ndr)». Le sue parole erano chiaramente dirette a incoraggiare i sostenitori di Trump scontenti del risultato elettorale a prendere in mano la situazione”, (l’espulsione di Giuliani è probabile).
L’ottimismo del senatore predicatore
«Il neosenatore Raphael Warnock, un pastore filocomunista di Atlanta», così lo chiamano i blogger trumpiani, domenica ha pronunciato un sermone in cui forse parlava di Trump e del suo golpetto: «Se tagli una testa a un serpente, il serpente si agita.