Chissà se il ventilato Ministero della Transizione Ecologica nascerà davvero. Chissà se, nel caso in cui nascesse, metteranno a dirigerlo una persona capace. Chissà se sarà sufficiente una persona capace ai suoi vertici per dargli il potere e lʼefficacia di azione che servirebbe. Chissà se la transizione ecologica diventerà qualcosa di reale e tangibile, e non rimarrà un nome vuoto sulla targhetta di un Ministero. Chissà. Tonino Carotone cantava «è un mondo difficile / e vita intensa / felicità a momenti / e futuro incerto», e in effetti è plausibile che queste incertezze dovremo portarcele dietro a lungo, perlomeno quelle sullʼeffettiva incisività dei risultati che tale Ministero dovrebbe raggiungere. Quel che è certo, anche se Ennio Flaiano in Diario Notturno scriveva «certo, certissimo, anzi probabile», è che una reale transizione ecologica richiede una lunga serie di rinunce rispetto alle nostre abitudini più consolidate, quelle quotidiane, che diamo per scontate. E così come ci ritroviamo a fare resistenza per il cambio di nome di un formato di pasta, allo stesso modo ci ritroveremo probabilmente a immolarci per il diritto di avere una cucina a gas o quello di acquistare ortaggi a bassissimo costo. Anche di questo, lateralmente, parlano i primi due articoli condivisi questa settimana, a firma di Rebecca Leber per Mother Jones e Federico Di Vita per Esquire: di come lʼindustria dei combustibili fossili spinga per tenere accesa la fiamma dei fornelli a gas, e di come i pesticidi continuino a caratterizzare a fondo il sistema dellʼagricoltura intensiva, con tutte le conseguenze del caso, in termini di salute ed economici.
Su Eater invece Jaya Saxena racconta come il momento del lunch box a scuola per i ragazzi e le ragazze possa essere difficile e problematico, perché anche intorno al cibo si costruiscono momenti di discriminazione, spesso feroci nellʼadditare “il diverso”. Rimanendo in tema, su Gastro Obscura cʼè invece la storia di un panificatore-artista-architetto che ha costruito il suo forno lungo il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti: ne scrive Ximena N. Larkin, e stavolta fortunatamente lʼorizzonte è quello dellʼinclusione.
Chiudiamo con Josephine Tovey per The Guardian sulle app di food delivery: i costi sociali di tutto questo sistema sono difficilmente sostenibili, tra atteggiamento predatorio delle grandi compagnie nei confronti dei ristoranti e gli ormai arcinoti problemi connessi al lavoro dei rider, dalle questioni salariali a quelle della sicurezza.
How the Fossil Fuel Industry Convinced Americans to Love Gas Stoves – Mother Jones, 11 febbraio
Un articolo che racconta come, nei fatti, negli Stati Uniti lʼindustria dei combustibili fossili le stia provando tutte per ostacolare le legislazioni che impongono la rinuncia al gas a favore dellʼenergia elettrica in cucina.
I pesticidi sono il disastro globale di cui nessuno parla più – Esquire, 7 febbraio
Un poʼ di dati e alcune considerazioni, a partire dal libro di Johann G. Zaller Il nemico invisibile. Difendersi dal pericolo quotidiano dei pesticidi.
The Limits of the Lunchbox Moment – Eater, 8 febbraio
Un poʼ di cose spiacevoli che possono succedere quando, in un contesto culturale tipicamente bianco e occidentale, si inseriscono contaminazioni gastronomiche “esterne”: anche se si tratta di un semplice cestino del pranzo.
The Architect Baking Bread Along the Border Wall – Gastro Obscura, 11 febbraio
La storia di Ronald Rael e del suo forno lungo il confine.
I quit food delivery apps – the absurd convenience was not worth the cost – The Guardian, 10 febbraio
Qualche argomento contro la diffusione e lʼesplosione delle app di food delivery, considerando gli enormi costi sociali che si portano dietro.