Sandro (nome di fantasia) è un italiano che lavora in Cina da anni. Nel paese ha moglie e due figli, ma è da agosto che non li vede. Anna (nome di fantasia), invece, è una studentessa rientrata in Italia a gennaio 2020, salvo poi rimanerci bloccata. Entrambi stanno cercando di rientrare nel paese dove vivono, studiano o lavorano, ma senza successo. Colpa di un “bug” del sistema burocratico o aereo (o meglio, di entrambi) a livello internazionale, che sta dando parecchio filo da torcere agli italiani domiciliati in Cina.
La cosa funziona più o meno così: a causa della pandemia, il traffico aereo tra Europa e Cina è naturalmente ridotto. Per arginare i contagi, oltre ad un visto valido e all’obbligo di avere sia un tampone che un test anticorpale negativo (entrambi fatti entro 48 ore prima del volo), la Cina stabilisce un obbligo di arrivo dall’Europa unicamente tramite volo diretto, senza scali. Pena la non emissione di uno speciale “codice verde” al passeggero da parte dell’ambasciata cinese del Paese, e dunque la cancellazione del viaggio.
Fino a qualche settimana fa, gli italiani riuscivano ad aggirare il problema raggiungendo altri paesi europei, per esempio la Germania o la Svizzera, e viaggiando per la Cina da lì. Con il recente cambio delle regole da parte del governo cinese, però, questo non è più possibile, perché le ambasciate cinesi negli altri paesi non emettono più il codice verde a chi non ha la residenza.
Nel nostro paese, da novembre l’unica compagnia ad operare voli diretti è la NEOS. Sul sito della compagnia, però, i voli (pochi, uno a settimana, e già molto cari), sono già tutti esauriti fino ad agosto/settembre. Colpa forse del gran numero di cinesi che tornano in Cina, ma soprattutto di una serie di agenzie di viaggi cinesi in Italia che, fiutando l’opportunità commerciale, hanno acquistato tutti i biglietti della Neos per poi rivenderli a prezzi doppi: fino a 4000 euro l’uno sola andata.
In più, a complicare la vita degli italiani il fatto che l’ambasciata ha cancellato tutti i visti emessi prima del 5 novembre, mentre quelli che hanno una durata media di 3 mesi non sono compatibili con date di partenza a fine estate. Risultato, sono moltissimi gli italiani che, pur avendo una vita in Cina, non possono tornarci. In una chat di italiani sul social cinese WeChat, su 400 persone, sono circa 150 quelle che stanno cercando un modo per tornare e non lo trovano.
«Io ho scritto a Neos per esporre il problema e mi hanno risposto che forse ad aprile aggiungeranno un altro volo a settimana da Malpensa a Nanchino, ma di certezze non ne abbiamo», spiega Anna. Interpellata anche sui tempi dei voli e dell’incompatibilità con la scadenza dei visti, la compagnia risponde che «il 90% dei nostri passeggeri sono cinesi che non hanno bisogno di visti», di fatto facendo spallucce.
E se negli altri paesi non è che i prezzi siano tanto più convenienti (un volo diretto Lufthansa da Francoforte a Shanghai a inizio marzo costa circa 2500 euro), quantomeno c’è più scelta. «Dalla Germania verso la Cina ci sono almeno 4 voli a settimana, qui invece niente», dice ancora Anna.
E attenzione a non farsi trarre in inganno dalle normali ricerche sugli aggregatori di voli, perché se non si è ben informati sulla questione dei voli diretti, si rischia di spendere soldi e di non poter poi partire. «A seconda della compagnia di volo e dell’aggregatore tramite cui si prenota, pure il rimborso potrebbe essere a rischio», racconta a Linkiesta una fonte che preferisce restare anonima.
Dal canto suo, l’ambasciata cinese in Italia si è limitata a pubblicare una nota sul suo sito: «Dopo l’adeguamento della legge sulla revisione del codice sanitario, alcuni studenti stranieri cinesi e internazionali in Italia si sono lamentati del forte aumento del prezzo dei voli diretti da Milano a Nanchino […]. L’ambasciata e il consolato in Italia hanno ascoltato con attenzione e comunicato le loro preoccupazioni alle aziende competenti. Sottolineiamo che rispettiamo le operazioni legali e conformi delle imprese basate sui principi di mercato. Allo stesso tempo, ci auguriamo che le imprese considerino i vantaggi economici e partano dall’accessibilità economica della gente comune, rispondendo alle ragionevoli preoccupazioni sollevate dai cinesi e dagli studenti all’estero, stabilendo prezzi ragionevoli e vendite trasparenti e collaborando con la società cinese».
Da italiani, però, Sandro e Anna (e non sono gli unici) si sentono discriminati e non tutelati. «Le istituzioni italiane non fanno niente, i rappresentanti dei consolati e della camera di commercio che abbiamo in chat non dicono niente, e noi non abbiamo alternative», racconta Anna. Di questo passo, chissà quando riusciranno a rientrare. «Ma il ministro Di Maio non dovrebbe occuparsi di noi?», si chiede Sandro.