Nel giorno in cui Giuseppe Conte ha riproposto il vecchio Carosello di Cynar, con Ernesto Calindri e il tavolino in mezzo alla strada, tutta la politica sì è mossa: azzardando, ipotizzando, spaventandosi, dividendosi. Il bailamme continua, la giostra gira all’impazzata con la figura del premier incaricato che già incute paura a tutti: ed è un continuo elogiarne la figura, dargli credito, mettersi in fila.
Draghi pedala in discesa – sabato termina le consultazioni, domenica potrebbe chiudere positivamente – come un “fuoriclasse” (l’espressione è di Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega), padroneggia il gioco senza far ancora capire se nel suo esecutivo entreranno i partiti, e quanti. Ci torneremo. Ma è da notare che i riottosi, tranne Giorgia Meloni, sono spariti. I bellicosi difensori dal predominio delle banche, alla Paola Taverna, non parlano più. I Cinquestelle, spappolati al loro interno, vengono ricondotti all’ovile da un Conte che lascia Palazzo Chigi sperando di tornarci un giorno «ricco e spietato come il Conte di Montecristo», a capo di un polo, si sarebbe detto anni fa, di centrosinistra che lui si candida a cementare e a guidare senza peraltro che nessuno lo abbia investito della missione, ma tant’è, l’avvocato deve trovarsi qualcosa da fare, e comincia dai ragazzi sbandati del Movimento.
I quali si apprestano a dire sì al governo del “capo dei banchieri”, del gran salvatore dell’euro, già in Goldman Sachs, il demonio a guardia dello sterco del diavolo cioè il denaro dei ricchi stipato nei forzieri delle banche. Todo cambia, però, ed eccoli gli agnellini di un tempo, gli immacolati della politica, eccoli pronti a entrare in squadra magari trovandosi nello stesso banco di Silvio Berlusconi, il quale ha definitivamente rotto gli indugi e oggi sarà personalmente a Roma per essere consultato da SuperMario.
Già, Berlusconi: se vogliamo è questo il vero fatto politico di questa strana crisi. Da tre giorni Berlusconi aveva pronto il comunicato di adesione al tentativo di Draghi, bloccato però da una occhiuta Licia Ronzulli e dagli azzurri più sovranisti cioè, semplificando, di destra, alla Nicolò Ghedini per capirci.
Già, il Cavaliere finora è stato ostaggio di questa parte di Forza Italia, “protetta” da un indeciso Antonio Tajani e da altre figure di peso. Ma la vera e propria rottura operata da Mara Carfagna ha cambiato la scena, perché la vicepresidente della Camera sulla linea aperturista verso l’ex capo della Banca centrale europea ha raccolto una porzione ampia soprattutto dei deputati e la cosa ha avuto l’effetto di far rompere gli indugi al fondatore del partito, che da anni nutre una grande stima nei confronti di Draghi e soprattutto da tempo non vedeva l’ora di rientrare nel grande gioco di governo rompendo l’immobilismo tetragono di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Quest’ultimo forse non ci sarebbe arrivato da solo ma forze potenti del suo elettorato di quel Nord che lavora e che produce lo hanno indotto ad aprire una linea di credito nei confronti del presidente del Consiglio incaricato che vedrà sabato mattina. «Prima gli interessi del Paese, poi quella della Lega» è una sua frase detta ieri (con un Giorgetti sogghignante a fianco), una frase mai sentita prima che denota la volontà di Salvini di andare a vedere il gioco, senza escludere nulla, tantomeno un ministro leghista nella compagine di governo: un’ipotesi che fa venire i sudori freddi al Partito democratico, che già deve beccarsi Berlusconi e Brunetta, immaginiamoci come vivono l’idea di una vicinanza alla Lega uomini come Peppe Provenzano ed Emanuele Felice, ma anche lo stesso Nicola Zingaretti. È un problema che SuperMario potrebbe risolvere chiedendo a Salvini una non belligeranza ma senza entrare nella compagine.
Probabile che il governo Draghi sarà dunque sorretto in Parlamento dalla famosa maggioranza Ursula e l’astensione della Lega. Con la conferma dell’asse Pd-M5s-LeU e la nascita di un centro riformista influente, Italia Viva, Più Europa-Azione (ricevuti ieri da Draghi con un certo calore), Forza Italia, parlamentari “responsabili” sciolti. Nella squadra metà politici e metà tecnici. Domenica probabilmente nasce il Draghi 1.