La crisi del lavoroEnrico Giovannini propone di creare una banca dati nazionale dei disoccupati

L’ex presidente di Istat ed ex ministro del Lavoro sulla Stampa ipotizza un decreto per ridurre la delega alle Regioni e accentrare a livello statale la gestione dell’emergenza occupazionale

Foto LaPresse - Claudio Furlan

La crisi Covid ha segnato una divisione netta tra aziende moribonde e altre invece che crescono a ritmi veloci. E la stessa spaccatura c’è nel mondo del lavoro: giovani e donne restano a casa, mentre gli occupati continuano a crescere quasi soltanto tra gli over 50. Ecco perché, dice alla Stampa Enrico Giovannini – ex presidente dell’Istat ed ex ministro del Lavoro, oggi portavoce dell’Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) – «per affrontare l’emergenza c’è bisogno, per decreto, di una banca dati nazionale degli occupati, dei cassintegrati e dei disoccupati». Un modo per superare la frammentazione del sistema delle politiche del lavoro gestito dalle Regioni.

I dati Istat di dicembre 2020 registrano un nuovo calo di 101mila occupati in un solo mese, di cui 99mila tra le donne. A perdere il lavoro quest’anno sono stati «essenzialmente lavoratori a termine, in grandissima parte giovani e donne, anche quelli il cui contratto scadeva a dicembre», spiega l’ex ministro. «Tipologie di occupati che avevano già pagato il prezzo del lockdown di primavera».

E «l’aumento dei disoccupati a dicembre significa che le imprese hanno scarsa fiducia su una ripresa rapida dell’economia. Lo dicono anche gli ultimi dati di Confindustria: se tutto andrà bene, se la campagna vaccinale procederà spedita, il Pil tornerà a crescere in maniera sostenuta nella seconda metà dell’anno».

Le imprese sembrano ormai divise in tre fasce: il 29% rischia di chiudere, il 46% dice di cavarsela, un altro 26% dichiara di non aver avuto cali di fatturato o di averlo addirittura aumentato. Dopo il blocco generalizzato dei licenziamenti, occorre passare a misure più mirate. «Anche perché la quota dei giovani occupati sull’occupazione totale è molto alta proprio in quel terzo di imprese in difficoltà. Se quelle imprese chiuderanno, l’effetto sull’occupazione giovanile – ma mi aspetto che questo varrebbe anche per le donne – sarebbe molto forte», dice Giovannini.

Cosa serve? La prima cosa, secondo Giovannini, è «disaggregare i dati» e «valutare subito rischi e opportunità nei diversi tipi di imprese e per aree geografiche. Ma per farlo occorre creare subito, magari per decreto, una banca dati unica nazionale degli occupati, dei cassintegrati e dei disoccupati». Cosa che Giovannini tentò di fare senza successo nel 2013. Ma le politiche attive del lavoro restano competenza esclusiva delle Regioni. «Ma così come lo Stato si è imposto nei mesi bui della pandemia per tutelare la salute pubblica ora occorrerebbe farlo per gestire in modo integrato l’emergenza occupazionale, altrettanto grande e dannosa».

Poi «occorre potenziare la “Garanzia Giovani”, prevista dall’Europa anche nel Recovery Plan: entro quattro mesi dall’entrata in disoccupazione o la fine degli studi bisogna offrire loro un’occupazione, uno stage, un corso di formazione» .

«Una parte delle imprese che chiuderanno nei prossimi mesi è gestito da persone di una certa età», spiega Giovannini. «Questa crisi potrebbe trasformarsi in un’enorme occasione per ringiovanire e rinnovare il sistema imprenditoriale. Lo Stato deve rafforzare gli strumenti di sostegno alla nascita di nuove imprese, specialmente per i giovani e per le donne».

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