SalumiSpeck: tempo, attesa e rispetto

Il classico procedimento che viene usato in Alto Adige per creare uno dei salumi più amati e apprezzati è stato applicato al pesce, per un risultato dal sapore nuovo

I primi documenti contenenti la parola speck risalgono al XVIII secolo, ma esso compare nei regolamenti dei macellai e nei registri contabili dei principi tirolesi già dal 1200, seppur con definizioni e nomi diversi.
Inizialmente lo speck, come tutti gli insaccati, veniva prodotto per la necessità di conservare la carne per periodi medio-lunghi.
In particolare, permetteva di conservare per tutto l’anno la carne dei maiali che venivano uccisi durante il periodo natalizio.
Lo speck rappresentava, soprattutto per i ceti meno abbienti, l’unica opportunità di mangiare carne e far fronte al bisogno di lipidi.
Col tempo è diventata una delle pietanze principali in occasione di feste e banchetti.
E ancora oggi, insieme al pane e al vino, è il protagonista della tipica merenda sudtirolese.
Originariamente, è nato dall’unione dei due metodi di conservazione della carne: la stagionatura (come il prosciutto crudo nell’area mediterranea) e l’affumicatura (tipica del nord Europa).
L’Alto Adige, trovandosi in una posizione intermedia e godendo di un particolare clima, ha fuso i due metodi, producendo lo speck secondo la regola poco sale, poco fumo e molta aria fresca, che consiste in una salatura moderata e nell’alternanza di fumo e aria fresca.
Il disciplinare di produzione prevede un’affumicatura leggera della coscia salata di maiale disossata e stesa, una stagionatura media di 22 settimane e un contenuto di sale non superiore al 5% nel prodotto finale.
Come si può rimanere indifferenti a questa meravigliosa storia di contaminazioni, rispetto, esigenza alimentare e adattamento?

Noi ci siamo ispirati proprio a questo meraviglioso prodotto altoatesino per lavorare la ventresca bassa e il callo dell’alletterato, variando però tempistiche e proporzioni in base ai nostri gusti.
La produzione dello speck di alletterato  passa attraverso 7 fasi: selezione della materia prima, abbattimento a – 24° C al cuore, staccaggio di 48 ore a – 20° C , rigenerazione a + 3°, speziatura, affumicatura e stagionatura.
Un processo lungo, scandito dal tempo, dall’attesa e dal rispetto.

E dalle contaminazioni.
Benedette, sacrosante, divine.

Fabio Tammaro è lo chef del Ristorante Officina dei Sapori di Verona. 

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