«Non possiamo tollerare minacce contro la libertà di stampa», ha scritto preoccupato su Twitter Didier Reynders, il commissario europeo alla Giustizia. A Bruxelles si seguono con apprensione gli ultimi sviluppi del rapporto conflittuale fra i governi di Ungheria e Polonia e gli organi d’informazione dei rispettivi Paesi. Nella stessa settimana, a Budapest è stata sancita la fine delle trasmissioni di una delle ultime radio libere e a Varsavia i media indipendenti hanno protestato contro una tassa che mette a repentaglio la loro esistenza. I due Stati dell’Europa orientale sono rispettivamente all’89esimo e al 62esimo posto nell’indice sulla libertà di stampa di Rsf: insieme a Bulgaria e Malta, le peggiori performance fra i membri dell’UE.
La sentenza di un tribunale ungherese costringe KlubRádió, una delle ultime radio indipendenti del Paese, a interrompere le trasmissioni il 14 febbraio. La questione non è passata inosservata a Bruxelles: «Siamo in contatto con le autorità ungheresi per assicurare che possa continuare a trasmettere», ha affermato Christian Wigand, portavoce della Commissione, che non esiterà ad agire «se possibile e necessario».
Rigettando il ricorso dell’emittente, il tribunale conferma la decisione dell’Autorità ungherese che regola i media (NMHH), la quale aveva negato a KlubRádió la proroga della licenza per non aver ottemperato agli adempimenti necessari. Monika Karas, presidente dell’organismo, ha scritto che la stazione radio ha commesso “diverse infrazioni alla legge sui media”, tra cui “aver disatteso l’obbligo di segnalazione”. Secondo quanto si legge nel comunicato dell’autorità, verrà bandita una gara pubblica per la frequenza tolta a KlubRádió, a cui la stessa emittente potrà partecipare.
«Sappiamo come funziona: spesso quando si vuole silenziare una voce indipendente, si trovano cavilli che consentono all’esecutivo di fare ciò che formalmente non può fare», dice a Linkiesta Filippo Sensi, deputato del Partito Democratico e autore di un appello al nuovo governo italiano sul caso.
«In casi simili l’Autorità per i media ha spesso comminato solo sanzioni amministrative pecuniarie. KlubRádió è da tempo nel mirino dell’ente, che prima ha ridotto le sue trasmissioni alla sola area di Budapest e poi imposto uno stop per non aver rispettato le percentuali di musica ungherese messa in onda».
Per Sensi, ma anche per molti osservatori europei, c’è infatti la mano del governo di Viktor Orbán dietro il diniego. Come ricorda il parlamentare, il NHMM, che nasce nel 2010, riferisce al Parlamento ungherese, il quale elegge anche i membri del board. Il presidente, poi, viene scelto direttamente dal governo: difficile quindi considerarlo un’autorità indipendente dal potere politico.
«Il governo non è direttamente coinvolto in questa scelta, ma molti membri del NHMM hanno stretti legami con Fidesz e l’autorità funziona sostanzialmente come un’agenzia al servizio dell’esecutivo», spiega a Linkiesta Katalin Cseh, eurodeputata ungherese del partito liberale Momentum, uno dei componenti dell’opposizione a Orbán.
La parlamentare è convinta che il mancato rinnovo della licenza, motivato con trascurabili mancanze formali nella documentazione, sia avvenuto in realtà per favorire la compagine governativa. Nel suo Paese, afferma, vige ormai una fortissima cultura statale, in cui il potere politico spiana la strada alle carriere dei funzionari e loro in cambio si comportano in modo compiacente. «È molto difficile che in Ungheria un’istituzione sia davvero indipendente. E l’Autorità per i media sicuramente non lo è».
Mentre il direttore di KlubRádió ha annunciato ricorso alla Corte di Giustizia Europea e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la vicenda potrebbe avere anche ripercussioni politiche a livello europeo. Un gruppo di deputati socialisti del Parlamento Europeo è pronto a chiedere un’interrogazione urgente alla Commissione, la quale sembra sempre più irritata da quanto succede in riva al Danubio.
«Ma quello che la Commissione ha fatto finora è davvero poco. Dovrebbe usare i poteri conferiti dai Trattati per far rispettare la libertà di stampa», afferma Cseh, che traccia un quadro desolante dell’informazione ungherese, con giornali acquistati da figure vicine al governo e network locali delle zone rurali saldamente in mano a una fondazione legata a Fidesz. «Le voci critiche verso Orbán sono sempre di meno. Ogni pochi mesi perdiamo un canale informativo di riferimento».
Polonia, una tassa per colpire i media indipendenti
Se in Ungheria i media indipendenti piangono, in Polonia non ridono di certo. Nella giornata di mercoledì 10 febbraio, 43 fra siti d’informazione, network televisivi e agenzie di stampa hanno lanciato una protesta per denunciare un progetto di legge che li vedrebbe costretti a versare allo Stato dal 2 al 15% dei propri ricavi pubblicitari.
«Semplicemente, un’estorsione», si legge nella lettera congiunta che gli organi di stampa hanno pubblicato, indirizzandola al Primo ministro Mateusz Morawiecki. Nonostante l’obiettivo ufficiale della legge sia portare un “contributo” nelle casse pubbliche dissanguate dalla pandemia, anche in questo caso dietro il provvedimento si allunga l’ombra di una volontà politica diretta ad alterare la libertà d’informazione. «Non ho dubbi che l’obiettivo sia colpire i media indipendenti», ha scritto l’Ombudsman polacco per i Diritti umani Adam Bodnar.
Gli schermi neri che hanno caratterizzato la protesta sono stati oggetto di dibattito anche all’interno delle istituzioni europee, da tempo preoccupate per l’attitudine aggressiva del partito al potere, Diritto e Giustizia (PiS), nei confronti della stampa. «Questi schermi stanno gridando. Dobbiamo proteggere la libertà di parola supportando i media indipendenti, non sopprimendoli con ulteriori carichi fiscali», ha affermato durante la Plenaria del Parlamento Europeo Věra Jourová, commissaria europea ai Valori e Trasparenza.
Come nel caso ungherese, Bruxelles è reattiva nel segnalare le criticità, ma non così efficace nel prendere contromisure adeguate. In Polonia il potere politico sta progressivamente assoggettando i mezzi di comunicazione, un processo che sembra ricalcare quello avvenuto in Ungheria, ormai giunto a uno stadio molto avanzato. La televisione di Stato, TVP, è saldamente sotto il controllo del governo e di recente Polska Press, un rilevante gruppo editoriale del Paese è stato acquistato dalla compagnia petrolifera nazionale.
La stessa Commissione Europea ha segnalato, nel capitolo dedicato alla Polonia del suo documento sulla situazione dello Stato di Diritto nell’UE, un forte rischio di influenza politica sul panorama mediatico. Dal 2015, anno in cui il partito Diritto e Giustizia è salito al potere, il Paese è precipitato dal 18esimo al 62esimo posto dell’indice sulla libertà di stampa. Una rotta difficile da invertire senza l’intervento delle istituzioni comunitarie.