Arrivando a Venezia, San Francesco della vigna è esattamente dalla parte opposta del mondo: un angolo della città lontano dalle rotte turistiche e poco conosciuto anche dai locali, che si spingono con difficoltà fino a questo campo, che accoglie però alcune perle che vale la pena conoscere.
Qui sorge la chiesa palladiana, che è la versione rinnovata della cappella che i frati minori hanno costruito per ricordare il passaggio delle spoglie di San Marco, che hanno sostato qui. La cappella è stata ampliata nel tempo, fino al 1600, momento di massimo splendore del vicino convento e della chiesa, per l’epoca molto all’avanguardia, perché già in stile rinascimentale.
Tanti i segreti da scoprire al suo interno, dal Cristo ligneo recentemente restaurato, al alle proporzioni, frutto di riflesisoni sulla cabala. La chiamano anche “la chiesa che si può suonare” visto che le sue misure possono essere messe in musica. Ed è la cultura la protagonista della biblioteca dei frati, 200mila volumi distribuiti in sei sale, che raccoglie, conserva e cataloga il patrimonio librario veneto della Provincia S. Antonio dei Frati Minori perché sia valorizzato e reso accessibile a tutti. Una testimonianza della fede cristiana e della vita francescana mantenuta grazie all’impegno e alla costanza di fra Rino Sgarbossa, appassionato custode di questo patrimonio.
È aperta al pubblico, con visite guidate su appuntamento, così come la chiesa e il convento, che nel suo chiostro più interno custodisce un’altra preziosa perla. Una vigna, unica a Venezia, che l’azienda veneta Santa Margherita ha contribuito a conservare, curandola con i propri agronomi.
Cosa impiantare nel vigneto storico che potrebbe avere origini risalenti al 1200? La scelta è stata quella di mantenere le origini del territorio, piantando glera e malvasia, uve conosciute in tutto il mondo che hanno due caratteristiche importanti, che le legano a Venezia: carattere e bellezza. Oggi le vigne ad alberello, così come venivano coltivate all’epoca, sono fatte crescere in biologico, che sarà certificato l’anno prossimo. È una piccola vigna, che darà vita a 2500 bottiglie, ma ha un enorme valore simbolico perché fa tornare presente e attiva la vigna che dà il nome a questa zona della città.
La vigna è stata svelata in occasione di un anniversario importante per l’azienda, che quest’anno festeggia i 60 anni di una sua produzione storica, e ha voluto celebrarli chiedendo agli studenti dell’Istituto Europeo di Design di Venezia di immaginare delle etichette che raccontassero queste sei decadi del vino. Un contest che ha permesso ai giovani illustratori di interpretare i valori aziendali, e che al suo termine vedrà sei illustrazioni selezionate e che prenderanno vita come etichette di una speciale capsule collection per la celebrazione del compleanno. In un suggestivo allestimento che riporta alla memoria, le illustrazioni hanno trovato posto nel chiostro del convento, dove si respirano i diversi aromi che caratterizzano il vino e dove si può ascoltare una musica creata apposta da una sound designer a partire dai rumori del pinot grigio, dalla raccolta al bicchiere, suddivisi in tasselli di una composizione. Fino al 4 luglio la mostra è aperta alle visite per ripercorrere le decadi e rivivere attraverso l’illustrazione i momenti salienti di questa storia.
Ma cosa ha reso unico e speciale questo vino, che è il bianco italiano più venduto e bevuto negli Stati Uniti? La storia parte da lontano. Gaetano Marzotto, il fondatore di Santa Margherita, negli anni ‘30 vinse grazie a una scommessa con i conti Stucchi un latifondo nel Veneto: scoprì di aver acquisito una palude da bonificare ma non si perse d’animo e la trasformò in un gioiello agronomico, innovando in termini di uomini, natura e tecnologia. Un pioniere illuminato e visionario che capì subito, dopo la seconda guerra mondiale, quanto la voglia di convivialità fosse forte: per permettere agli italiani di festeggiare concepì un vino che non fosse un mero alimento e fonte di allegrezza e calorie, ma che rispecchiasse un territorio e fosse in grado di tradurre nel bicchiere eleganza e allure. Cercava qualcosa che strizzasse l’occhio a un pubblico femminile, che fino ad allora si era tenuto lontano dal vino ma che in quegli anni iniziava invece ad interessarsene.
Nel pinot grigio alto atesino, che grazie alle escursioni termiche ha la capacità di fissure nella buccia il profumo, l’imprenditore trova la sua cenerentola. Ma la buccia color rame dava al vino una torbidezza e un colore aranciato dal poco appeal: neanche questo fermò l’uomo che scelse ancora una volta la strada dell’innovazione, separando le bucce dal mosto in fase di pressatura, con la tecnica dell’off skin. La vendemmia 1960 va sul mercato nel 1961 ed è fin da subito un successo strepitoso.
Nel 1979 c’è la vera svolta: negli Stati Uniti il pinot grigio viene eletto miglior vino bianco italiano. Si spalancano le porte dell’export e questo vino diventa l’icona del made in Italy, il vino italiano ancora oggi più consumato negli USA.
Artefice del successo è Tony Terlato, un importatore abilissimo, che indagava sul campo per scoprire i vini migliori italiani, rivolgendosi al sommelier del Principe di Savoia. Provato il pinot grigio è andato a Portogruaro in azienda e da lì ha portato il prodotto di Santa Margherita in Canada e Sud America e gli ha poi permesso di arrivare sulle tavole di tutto il resto del mondo.
Negli anni ‘90 è esportato in 90 paesi nel mondo: è un vino profumato ma non invadente, adatto a cibi e a situazioni diversi, che si presta a contaminazioni con le cucine estere. La sua natura versatile è la vera chiave del suo successo. E della sua storia che oggi è celebrata con Off the Skin, a San Francesco alla Vigna.