Un’esercitazione militare rischia di diventare un caso diplomatico tra Spagna e Marocco. L’operazione African Lion 21 coordinata dal Comando statunitense in Africa (Africom) tra il 7 e l’8 giugno ha impegnato 7800 militari provenienti da Stati Uniti, Canada, Brasile, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Marocco, Senegal e Tunisia. È costata 28 milioni di dollari e ha l’obiettivo di migliorare l’interoperabilità delle forze che da anni operano nel Nordafrica e nel Sahel – l’area di continente a sud del deserto del Sahara attualmente governata con la forza dai gruppi affiliati allo Stato Islamico.
Lo scorso 29 maggio la Spagna ha annunciato il proprio ritiro, ufficialmente per motivi di bilancio. Una mossa che ha sorpreso molti analisti perché negli ultimi anni Madrid ha sempre partecipato alle missioni e alle esercitazioni dirette da Africom. La ragione del ritiro è dovuto al progressivo deterioramento dei rapporti col Marocco per la pessima gestione dei migranti e la questione del Sahara Occidentale.
Nell’ultimo mese, circa diecimila profughi hanno assaltato l’enclave spagnola di Ceuta, protetta da anni da un sistema di sorveglianza, che però non ha retto ai numerosi tentativi d’ingresso. Tanti migranti sono stati espulsi e riportati fuori dai confini spagnoli, ma non tutti. Secondo Madrid, la polizia marocchina ha allentato i controlli del checkpoint a Fnidq, consentendo il passaggio a piedi o a nuoto verso Ceuta, che di colpo ha visto la sua popolazione crescere di quasi il 12%.
La vera radice delle tensioni tra Spagna e Marocco viene però da più lontano e risiede nel Sahara Occidentale, la vastissima regione decolonizzata da Madrid nel 1975 e occupata da Rabat nel 1976.
Dopo 45 anni di sostanziale immobilismo istituzionale (la missione Onu MINURSO, che dal 1991 ha l’obiettivo di conciliare le parti e di porre le basi per un referendum sull’autodeterminazione del territorio, è di fatto un gigantesco flop che costa alle Nazioni Unite circa 55 milioni di dollari l’anno, ndr.), il Covid ha riacceso la disputa quando Brahim Ghali, settantunenne presidente della Repubblica Araba Democratica dei Saharawi e leader del Fronte Polisario, l’esercito del Sahara Occidentale che è anche unico partito di governo, è stato ricoverato in Spagna in gravi condizioni a maggio.
Ghali è entrato nel paese con un falso passaporto diplomatico algerino sotto il nome falso di Mohammed Ben Battouch. Una mossa che ha irritato il governo del Marocco, che si aspettava tutt’altro trattamento per un uomo considerato da loro al pari di un terrorista e un guerrigliero. Il presidente Saharawi, che in verità combatté tra il 1975 e il 1991 la guerra contro il regno dell’allora re, Hassan II, ma che è anche stato tra i principali sostenitori del cessate il fuoco e della soluzione pacifica del referendum, ha lasciato il 2 giugno la Spagna per rientrare in Algeria – dove è stato accolto con tutti gli onori che spettano a un capo di stato e dove ha ricevuto la visita dal presidente Abdelmadjid Tebboune – e presto tornerà nel Sahara Occidentale, ma questo non ha stemperato le tensioni.
In Spagna Ghali ha in corso un processo in cui è accusato, tra le altre cose, di crimini di guerra, genocidio, stupro e tortura, ma dopo la sua deposizione non è stata emanata nessuna misura di custodia. I Saharawi hanno preso questa decisione come segno di innocenza del loro presidente, che quindi, sconfitto il Covid, ha potuto prendere un volo per tornare in Africa.
Proprio per questo, la rinuncia da parte del governo spagnolo a partecipare ad African Lion 21 non sembra davvero dovuta a semplici motivi di bilancio. L’operazione, infatti, si terrà in quella parte di mondo che i marocchini chiamano Marocco e che il resto del continente chiama Repubblica Araba Democratica dei Saharawi (come testimonia il riconoscimento da parte dell’Unione Africana del paese come stato membro, avvenuta già nel 1984, ndr.).
Operare in quella regione e in collaborazione con l’esercito del Marocco significherebbe, in modo neanche troppo implicito, riconoscere la sovranità di Re Mohammed VI sul Sahara Occidentale e metterebbe in cattiva luce l’operato di MINURSO, unica missione ONU al mondo senza una guida, dopo le dimissioni dell’ex presidente tedesco Horst Köhler nel maggio 2019.
La scelta spagnola di chiamarsi fuori da questa esercitazione accende una luce sul piano di cooperazione tra USA e Marocco firmato lo scorso ottobre a Rabat dall’allora Segretario Generale per la difesa americano, Mark Esper nell’ambito degli Accordi di Abramo: un piano che ha fornito all’esercito maghrebino 200 carri armati Abrams, 20 caccia F-16 (con l’ammodernamento dei 23 già in possesso), 24 elicotteri Apache (con opzione per l’acquisto di altri 12) e 4 droni Mq-9 Sea Guardian, per un costo stimato di circa 20 miliardi di dollari.
Se è vero che il Marocco ha aumentato di quasi il 30% la spesa per la Difesa nell’ultimo biennio, ci sono comunque dubbi su chi abbia finanziato questi acquisti. Gran parte dell’extra budget, infatti, è servito a pagare gli stipendi dei militari, soprattutto dopo il reinserimento della leva obbligatoria nel paese. I dati sono molto opachi: di sicuro si sa che l’acquisto degli F-16 è stato cofinanziato dall’Arabia Saudita, come ringraziamento per la partecipazione marocchina nella guerra dello Yemen. Altre fonti, come riporta il quotidiano spagnolo El País, sostengono che un’altra grossa parte del finanziamento arrivi dagli Emirati Arabi Uniti, uno dei paesi cofirmatari degli accordi per la normalizzazione dei rapporti con Israele voluti dall’amministrazione Trump.
La corsa agli armamenti da parte del Marocco preoccupa i vicini rivali algerini, ma anche i dirimpettai spagnoli, che, dopo dieci anni senza investire nella Difesa, ormai hanno perso il vantaggio militare sul Marocco, anche solo in termini di deterrenza.
In questo scacchiere, in cui ogni mossa genera a catena delle reazioni imprevedibili, il Ghali Gate ha avuto una funzione catalizzante, dando il là alla crisi di Ceuta prima, e al ritiro spagnolo da African Lion 21 poi. In questo panorama, nulla è stato detto dall’Unione Europea (che il 3 giugno ha nominato l’ex viceministra degli Esteri nei governi Conte, Emanuela Del Re, Rappresentante Speciale nel Sahel, ndr.), né dal ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che oggi spedisce militari in teatri ad alto rischio, ma che solo un anno fa, nel piano triennale di cooperazione internazionale nelle aree di crisi, equiparava Saharawi e Rohingya, inserendole nel novero delle popolazioni perseguitate. Salvo rimuovere quel documento dall’archivio digitale dopo qualche ora. Sia mai irritare lo scomodissimo e ora anche militarmente preparatissimo Regno del Marocco.