Se pensiamo alla nostra vita digitale, vi sono acquisti online compiuti dopo aver consultato, per giorni e con attenzione, blog, recensioni e comparatori di prezzo, ma vi sono anche scelte fatte dal divano, che vengono prese d’impulso, dopo aver seguito la diretta di un influencer o la puntata di una serie, dopo aver apprezzato una story su Instagram o un video su TikTok o persino dopo aver partecipato ad un gioco online o averne seguito il commento in streaming su Twitch: non è un caso che Netflix abbia creato un proprio negozio online di merchandising dopo aver collaborato con il sito The Container Store e valutato le vendite promosse dallo show “Get Organized with the Home Edit”.
Infatti, si acquista online sia per soddisfare un bisogno che per appagare un desiderio, dal PC dopo aver maturato con proposito una scelta, ma anche dal cellulare in un momento di gratificazione personale, in modo ancora più facile ed immediato dello shopping del sabato pomeriggio: quando Walmart ha deciso di lanciare l’e-commerce su TikTok, l’ha fatto dal canale di Maiko, un giovane seguito da 50 milioni di teenager negli Stati Uniti per suscitare la loro curiosità. E, del resto, gli 1,2 milioni di shop oggi presenti su Facebook ed Instagram non verranno consultati dopo una ricerca approfondita ma approfitteranno di una tecnologia, GrokNet, che ne taggherà i prodotti per legarli alle immagini ed alle foto pubblicate sui social network e favorirne l’acquisto, anche via WhatsApp: all’e-commerce razionale dei marketplace si accosterà l’e-commerce emozionale dei social media.
Ad essere legato a doppio filo con gli acquisti d’impulso è però il fenomeno dei serial returners ovvero di coloro che ricorrono in modo costante al reso, anche perché spesso gratuito, sia dopo aver acquistato più taglie per conservarne la più adatta (i cosiddetti fitting roomers) sia dopo avere indossato una volta un capo di abbigliamento per poi restituirlo (sono i wardrobers): non stupisce dunque che importanti operatori della moda online come Asos, Zalando e la stessa Amazon abbiano introdotto regole volte a sospendere gli account che eccedono in tali comportamenti.
Il reso gratuito che negli anni passati ha rappresentato pertanto un volano di fiducia e quindi di crescita del commercio elettronico è oggi una delle cause della sua dubbia sostenibilità ambientale: secondo il recente Sustainability Report di RetailX, il 37% dei consumatori intervistati si dichiara però più consapevole degli effetti dell’e-commerce ed il 43% degli acquirenti afferma di tenere in considerazione le opzioni disponibili per ridurre l’impatto prodotto dalle consegne, con un dato ancor più elevato (il 60%) nella fascia di età 18-25.
I fattori che influenzano la sostenibilità ambientale di un acquisto online sono però molteplici:
- gli imballaggi e la gestione dei resi;
- le consegne a domicilio;
- la supply chain.
Gli imballaggi e la gestione dei resi
In un mercato in cui è crescente lo sforzo per trovare alternative alla plastica monouso, il suo livello di utilizzo nell’e-commerce è in aumento: la parcellizzazione degli ordini e la molteplicità di soggetti che la catena del valore include fanno credere che il suo impiego aumenterà del 15% all’anno da qui al 2027.
Per questo aziende come Ted Baker stanno sperimentando, grazie ad una innovativa modalità di etichettatura, imballaggi riutilizzabili e si sono impegnati ad ottimizzare la dimensione delle confezioni e ridurre il dispiego del materiale.
L’imballaggio “apertura facile” di Amazon che elimina le fascette di plastica usate per contenere i pacchi o l’iniziativa di HP che ha introdotto, con un modello ad abbonamento, la vendita dell’inchiostro per ridurre gli sprechi e mantenere le cartucce in un circuito chiuso sono solo alcuni dei progetti che hanno il compito di rendere la gestione dei resi sostenibile con la consapevolezza che lo smaltimento dell’invenduto è un fattore altrettanto rilevante.
Le consegne a domicilio
Fabio Iraldo, docente all’Istituto di Management della Scuola Sant’Anna di Pisa, sostiene che, in termini ambientali, comprare online conviene quando il cliente per recarsi in un negozio fisico deve percorrere una distanza superiore ai 15 km: nei restanti casi, la comodità dell’acquisto da casa ha un impatto negativo per i costi determinati dagli imballaggi necessari e dalla consegna a domicilio, tanto più se quest’ultima è resa ancora più inefficiente da un servizio di consegna veloce che rende più complessa l’ottimizzazione dei costi di trasporto. La stessa Amazon promuove infatti la formula “Consegna Senza Fretta” ed evidenzia come la sostenibilità del commercio elettronico dipenda anche dagli atteggiamenti individuali e dalla consapevolezza dei processi coinvolti.
A questo proposito, il Rapporto RetailX stima che la consegna a punti di ritiro diffusi produca un terzo delle emissioni ed evidenzia quanto sia rilevante la diffusione di lockers sul territorio: nell’aprile 2020, in pieno lockdown, l’Agcom ha condotto un’analisi [link] dalla quale emerge come il 22% dei punti di ritiro installati in Italia (550 su circa 2500) siano collocati nelle principali aree metropolitane con una forte disomogeneità fra le regioni.
La diffusione di tali infrastrutture, la propensione a servirsene anche grazie alla loro modalità contact-free e la sperimentazione di nuove soluzioni logistiche che, nei centri urbani, si avvalgono di veicoli elettronici e biciclette possono rappresentare dunque un’area di miglioramento così come è da osservare il ruolo che svolgeranno le piattaforme di delivery come Glovo che operano soprattutto con riders e che si propongono come partner logistici dei negozi e dei retailer tradizionali nelle grandi città.
Allo stesso modo, i modelli di e-commerce omni-canale che prevedono formule reserve and collect e pay and collect rimettono al centro l’esperienza in negozio salvaguardando in tal modo il ruolo di quest’ultimo e la sua luce accesa nel panorama urbano.
La supply chain
L’incidente dello scorso marzo al canale di Suez e gli effetti che la pandemia sta producendo sui costi della logistica sta mettendo in evidenza quanto le catene di approvvigionamento siano globali e, negli acquisti online, quanto la loro sostenibilità dipenda anche dai fornitori scelti: se la movimentazione delle merci dalla produzione alla distribuzione e da quest’ultima ai passaggi che, fino all’ultimo miglio, coinvolgono sempre più attori e mezzi, alcuni e-commerce come Asos e Zalando stanno introducendo forme di supplier-tracing per comunicare al consumatore la provenienza del prodotto e valorizzare gli acquisti di prossimit: il marchio di moda Mango ha recentemente pubblicato una mappa che mostra la posizione dei suoi fornitori di primo livello grazie al quale gli utenti possono esplorare i nomi, gli indirizzi e il numero di dipendenti di oltre 800 stabilimenti con cui il brand ha lavorato nel 2020.
Se nuove buone pratiche stanno dunque emergendo, a livello europeo, per affrontare gli aspetti critici della sostenibilità ambientale del commercio elettronico, è però la “competizione al rialzo” stimolata dalla maggior consapevolezza e da aspettative più esigenti da parte dei consumatori che può introdurre elementi di innovazione nel sistema: i mesi dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi economica hanno messo infatti in luce quanto l’e-commerce, come ogni tecnologia, non sia un bene in sé, ma lo possa rappresentare nella misura in cui sappia essere improntato alla sostenibilità ambientale, e non solo, del contesto in cui opera.