Tutta un’altra storiaLa guerra ibrida della memoria tra Russia e Norvegia

In un’isola settentrionale del Paese scandinavo è stato inaugurato un memoriale ai caduti della Seconda guerra mondiale finanziato dell’attivissimo consolato russo nella regione. Per gli analisti è l’ennesimo tentativo di Mosca di espandere la propria sfera d’influenza nelle comunità artiche norvegesi restie al controllo di Oslo

LaPresse

Solo una lastra di marmo oppure il tassello di una sofisticata operazione di guerra ibrida? Se lo sono chiesti in molti dopo che il console russo Nikolai Konygin ha inaugurato ad Hasvik, cittadina da poco più di mille abitanti su un’isola artica della Norvegia, un memoriale ai caduti di un incidente aereo avvenuto nel 1944, a poche settimane dalle elezioni politiche nazionali. 

La posa di questo piccolo memoriale è la fine di una storia iniziata nel 2017 quando Eva Husby, la sindaca di Hasvik, ricevette una lettera dall’ambasciata della Federazione russa che le annunciava l’intenzione di Mosca di allocare dei fondi per la costruzione di un monumento in ricordo di un incidente aereo avvenuto durante la Seconda guerra mondiale.

La storia era nota ai più anziani abitanti dell’isola e Husby decise di fare delle ricerche per capire che cosa avesse suscitato l’interesse del governo russo.

Dai ricordi degli isolani Husby ricostruì che un aereo modello Catalina si schiantò sulle scogliere di Andotten una mattina del giugno 1944. Qualche pescatore decise di andare a vedere il luogo dell’incidente nonostante le truppe naziste, che occupavano la Norvegia, lo avessero proibito.

Si racconta, ma qui la storia si mischia con la fantasia dei pescatori, che il volo fosse carico di munizioni, sigarette, vestiti, cioccolata e pacchi di dollari. Un dettaglio però gli anziani giurarono fosse al di sopra di ogni dubbio: l’equipaggio era composto da sei aviatori americani.

I corpi estratti dalle lamiere del Catalina, e interrati dai soldati della Wehrmacht, in effetti, indossavano uniformi dell’aviazione americana, ma nel 2017 la Commissione bilaterale Usa-Russia sui prigionieri di guerra e i dispersi in azione, dopo il riconoscimento del calco dentale delle salme, stabilì che i sei aviatori erano soldati sovietici che partecipavano al segretissimo Project Zebra, operazione con cui gli Stati Uniti avrebbero addestrato 300 aviatori sovietici per poi rispedirli indietro a continuare la guerra contro la Germania.

La sindaca, alla luce delle notizie raccolte, decise che la storia era un «magnifico esempio di collaborazione e di passato comune tra le due superpotenze» e scelse di proseguire nella costruzione del memoriale.

Agli occhi del ministero della difesa di Oslo, però, la questione appare più complessa. Quella di Hasvik, infatti, non era la prima richiesta per la posa di una lapide per i soldati russi, anzi è solo l’ultima di una lunga serie di monumenti di varie forme e dimensioni, sparsi per tutto il Nord del Paese e finanziati dall’attivissimo consolato russo di Kirkenes, una cittadina all’estremità settentrionale della Norvegia a pochi chilometri dal confine con la Russia.

Non è infatti la prima volta che le attività del giovane console generale, Nikolai Konygin, che si occupa della manutenzione dei monumenti e del contatto con le comunità locali, arrivano alle attenzioni dei servizi di sicurezza norvegesi.

Le zone selezionate per i monumenti non sarebbero casuali. Anzi, secondo Hedda Langemyr, direttrice di UTSYN, un think tank norvegese per la sicurezza e gli affari esteri, «potrebbero essere state selezionate per amplificare le divisioni tra le comunità locali delle regioni artiche e il governo centrale di Oslo e non sarebbe una coincidenza che la Russia stia facendo questo tipo di sforzi in questo momento».

Le regioni del Nord, oltre a essere una zona a forte interesse militare data la prossimità alle rotte artiche, sono abitate da comunità tradizionalmente restie al controllo di Oslo. Proprio la sindaca di Hasvik si è fatta promotrice, insieme ad altri sette sindaci, di una lettera contro il governo in cui chiedono più autonomia per difendere le loro coste da progetti di sviluppo che minerebbero l’ecosistema e la sussistenza delle attività tradizionali.

«La particolarità della guerra ibrida è quella di prendere di mira le vulnerabilità delle società in modi a cui non pensiamo», spiega Langemyr. «La strategia utilizza strumenti militari, politici, economici, civili e mediatici coordinati che si estendono ben oltre il campo militare. Guardando agli elementi sul campo e seguendo questa logica si può arrivare a dire che la Norvegia potrebbe essere sotto attacco da parte da parte di un altro Stato».

La posa di questi monumenti e il ricordo del ruolo svolto nella liberazione della regione e del passato comune sarebbero quindi elementi della “campagna artica” della ben più ampia guerra della memoria, che fa un uso politico dell’innegabile sacrificio di sangue che l’Unione Sovietica pagò nella sconfitta del nazifascismo per tessere relazioni con i partner europei e testare la tenuta del fronte atlantista.

Ne fu un esempio il celebre articolo firmato da Vladimir Putin e pubblicato lo scorso giugno sul giornale tedesco Die Zeit proprio in occasione dell’anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, un testo in cui il presidente russo, partendo dal ricordo e dall’esaltazione del trascorso comune tra russi ed europei, scagliò la sua accusa proprio contro la Nato.

«I russi speravano che anche la fine della Guerra Fredda sarebbe stata una vittoria comune per l’Europa, ma dovettero notare come fosse invece prevalso un approccio diverso basato sull’espansione della Nato, anch’esso un relitto della Guerra Fredda».

Se anche l’inaugurazione di Hasvik sia un semplice cerimoniale o invece una sfida diretta alla Nato sembra essere un dubbio che turba diversi analisti e funzionari norvegesi. Chi invece non sembra infastidito dalla questione è il console generale russo a Kirkenes, Nikolai Konygin.

Alla stampa locale che, alla vigilia della nuova inaugurazione, insisteva nel chiedere ragione della sua iperattività come manutentore di lapidi, il console generale ha risposto: «È una gioia per me vedere questi monumenti ben tenuti, rinnovati, e adornati con fiori, portati anche dalla gente del posto che vuole la nostra storia comune».

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