A fine pasto, un calice di Passito è l’accompagnamento perfetto per la conclusione di una cena importante. Potrebbe essere Moscato d’Asti, Vin Santo, Malvasia: si tratta pur sempre di nomi ampiamente diffusi sul nostro territorio, promossi nel turismo così come a livello nazionale. Ma quanti di noi conoscono e scelgono realtà minori, anche di vino da dessert? La media dei palati italiani non è ancora così pronta e disposta verso una produzione che, per quanto sia costantemente aumentata negli anni, ancora non tocca vette significative come in altri paesi del mondo. Per loro natura, si tratta di bottiglie che in genere richiedono più testa e meno sete, più pazienza e maggiore attenzione. Nel servizio di questi vini si è fortunatamente andati oltre le rigidità degli abbinamenti per somiglianza – dolce con dolce, torbato con torbato – in favore di combinazioni più estrose, senza schemi rigidi, più capaci di esaltare una determinata materia. Di frequente, dalla tecnica di produzione utilizzata si risale alle caratteristiche distintive di una bottiglia: vini passiti (quando le uve sono lasciate appassire dopo la vendemmia); muffati (quando gli acini subiscono l’aggressione di muffe in grado di esaltarne lo zucchero); liquorosi (che prevedono aggiunte extra di alcool o mosto cotto) etc. Si tratta di lavorazioni per le quali è richiesta una specifica competenza tecnica che, nella maggior parte dei casi, associa una produzione a un certo territorio di origine.
Se vogliamo stupire i nostri ospiti servendo un vino dolce non convenzionale, la scelta potrebbe ricadere sul Torcolato. Siamo in Veneto, precisamente nelle colline di Breganze in provincia di Vicenza. Protagonista di queste zone è il Vespaiolo. Come si può dedurre, il suo nome deriva alla predilezione che le vespe hanno per i suoi acini, particolarmente dolci. Vinificato in tre versioni – fermo, spumante e passito – il Vespaiolo presenta una particolare predisposizione all’invecchiamento, mostrando nel tempo un colore giallo paglierino intenso, quasi dorato. Anche testando annate differenti, l’invecchiamento non lo compromette affatto, anzi esalta ulteriormente i sentori di miele, uva sultanina, frutta matura tipici del vitigno.
Sappiamo che la vite era già presente sul territorio in epoca preistorica e poi romana. Le prime testimonianze scritte si hanno nel 1200, quando il Podestà di Vicenza promosse il disboscamento a favore di questa coltivazione. Nel periodo della Repubblica di Venezia, i vini di Breganze entrarono nei racconti degli avvenimenti del tempo: Re Carlo V ricevette in regalo alcune botti di Vespaiolo e risalgono a questo periodo alcuni scritti in cui si parla del Vespaiolo Breganzino come vino liquoroso altamente saporito.
Il Torcolato indica una specifica produzione, esclusiva di questo territorio, che prende il nome dalla tecnica adottata di appassimento delle uve. La natura vulcanica del terreno, la presenza di rocce tufacee e basaltiche, contribuisce a definirne le caratteristiche in termini di profumi, sapori, grado zuccherino. La raccolta dei grappoli destinati al Torcolato avviene manualmente.
È fondamentale scegliere i più maturi, più sani e più spargoli ovvero quelli con gli acini più aperti e sgranati tra loro. Sembrano racconti fatti dalla scrivania ma una volta sul campo, vi assicuriamo che il processo si svolge seguendo proprio queste fasi. Ciò che avviene in vigna è di importanza sostanziale per i passaggi successivi. Una volta trasportate le cassette di uva alla cantina di riferimento, si passa alla fase della torcolatura: ogni spargolo viene attorcigliato a fili di spago e arrotolato in lunghe catene di grappoli. Questi sono poi appesi a travi di legno in ambienti molto ben arieggiati. Sembra semplice ma è tutta questione di manualità, tanto che chi si applica può conquistarsi il titolo di vero e proprio “Mastro Torcolatore”. Nei mesi di appassimento, l’uva sviluppa una muffa nobile, la Botrytis Cinerea, che favorisce la concentrazione degli zuccheri. Al momento della torchiatura il succo che si ottiene è piuttosto denso, dolce e di resa limitata. La fermentazione del mosto impiega circa quaranta giorni e si arresta lasciando nel vino un generoso residuo zuccherino. Alcune cantine effettuano anche un passaggio in barrique e una successiva sosta in bottiglia prima di considerarlo pronto al consumo.
Luigi Veronelli definiva il Torcolato un «dolce non dolce» perché alla dolcezza iniziale risponde subito una buona freschezza. Un vino estremamente buono oltre che molto duttile perché oltre ad accompagnare perfettamente dolci e biscotti, si presta per pairing più azzardi con piatti a base di fegato o foie gras e persino con crostacei e aragoste.
Vi abbiamo raccontato qualcosa di nuovo? Il Torcolato potrebbe essere per molti, un primo passo verso il mondo del vino dolce e verso una maggiore considerazione di questa categoria tra gli appassionati e oltre che nelle carte dei vini di molti ristoranti.