La sua ascesa nel 2018 ai vertici di uno tra i marchi moda più celebri e redditizi del fashion contemporaneo ha infranto le barriere tradizionali dell’industria del lusso.
Virgil Abloh è morto domenica a Chicago dopo una battaglia di due anni con l’angiosarcoma cardiaco, un cancro tra i più rari che si conoscano.
Era nato a Rockford, Illinois, il 30 settembre 1980 ed era cresciuto in u brodo di cultura che contemplava skate e hip-hop. Aveva comunque studiato ingegneria civile all’Università del Wisconsin-Madison e conseguito un master in architettura presso l’Illinois Institute of Technology. Quando poi a 22 anni ha incontrato Kanye West (poco dopo è diventato il suo direttore creativo) la strada verso l’Europa era tracciata.
Aveva 41 anni.
Il promo stage lo ha fatto da Fendi e il marchio di sua proprietà Off-White lo ha fondato a Milano nel 2012. Anche dopo essere stato nominato Direttore artistico dell’abbigliamento maschile di Louis Vuitton, ha continuato a collaborare con marchi come Nike ed Evian.
Nonostante la malattia lo avesse già colpito lo scorso luglio, aveva anche accettato una assolutamente inedita proposta di Lvmh che gli avrebbe permesso di lavorare attraverso i 75 marchi di questo gruppo: cosa che lo ha reso il più potente dirigente nero nel gruppo del lusso più grande al mondo.
Si trattava in realtà di un lavoro non ben delineato adatto a una personalità non tradizionale come lui: più interessato a definire la nuova figura dell’«aggregatore» – percorso inedito in una vecchia industria – piuttosto che seguire le orme di chiunque altro. Per Abloh gli «indumenti» (una sneaker come un parka) erano totem fungibili di identità dove incrociare arti visive musica e – in quanto nero americano – persino la rivendicazione di diritti civili, insomma politica.
Abloh è sempre stato workhaholic: manteneva un programma rigoroso di impegni che prevedeva, oltre al suo lavoro nel fashion, tanto performance notturne come deejay quanto il design di mobili. Si vedeva come «maker» piuttosto che «designer»: un vezzo, in riconoscimento alla sua onnivora mente creativa.
Come «designer» o «maker» o aggregatore che dir si voglia, Abloh ha comunque lavorato per fondere due industrie – quella della produzione culturale contemporanea e quella del tessile abbigliamento di lusso con un approccio incentrato sulla storia dell’arte, lo street style, il design grafico, la musica e qualsiasi altra cosa la sua implacabile curiosità lo spingesse a frequentare.