Inseguendo CofferatiL’imbarazzante silenzio di Enrico Letta di fronte all’avventurismo di Landini

Il segretario della Cgil ha indetto uno sciopero generale dopo sette anni per appagare il suo protagonismo politico. L’ex leader della FIOM vive ormai in un mondo tutto suo dove il governo dovrebbe scrivere la legge di Bilancio sotto dettatura. Il Pd che sostiene in modo convinto il governo Draghi non ha nulla da ridire?

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Ci risiamo, la Cgil proclama uno sciopero generale politico. Infatti, politica e solo politica è la piattaforma di Maurizio Landini. L’obbiettivo politico del segretario della Cgil è chiaro e rivendicato: data l’inconsistenza del Pd e della sinistra, il governo Draghi deve ubbidire al sindacato. Punto. 

Quanto all’imprudenza e all’avventurismo di uno sciopero in piena pandemia, pare che Landini non ne colga né l’assurdità né le conseguenze. Tantomeno riesce a cogliere il pericolo che viene dalla rottura dell’unità sindacale con una Cisl che, non per la prima volta, rifiuta la trasformazione dei sindacati in un soggetto politico.

Sfuma così l’illusione che, arrivato al vertice della Cgil, Landini abbia stemperato il protagonismo politico che aveva sviluppato alla guida della FIOM. Protagonismo che lo portò nel 2011 a sfidare Sergio Marchionne sul contratto Fiat, salvo poi essere clamorosamente smentito dal voto operaio che accettò l’accordo.

Sono ben sette anni che la Cgil non proclamava uno sciopero generale, l’ultimo, nel 2014, fu indetto contro il Jobs Act del governo presieduto da Matteo Renzi. Dunque fu uno sciopero per un obbiettivo strettamente sindacale. Persino durante il governo Conte 1, con la Lega, la Cgil non ha proclamato uno sciopero generale. Ma lo scontro di oggi con Mario Draghi, che ne è rimasto più che stupito, ha ben poco di sindacale.

Sulla manovra, sulle detrazioni fiscali ai lavoratori e pensionati delle fasce basse di reddito, Draghi ha concesso molto alle richieste sindacali. Ma con tutta evidenza Landini punta ad altro. Non a caso, nella piattaforma dello sciopero generale del 16 dicembre, Landini ha inserito un giudizio nettamente critico sulle «politiche industriali, sulla scuola e sulle delocalizzazioni» del Governo. Una piattaforma che stride con la realtà di un esecutivo Draghi che sta realizzando investimenti per i 206 miliardi provenienti dall’Europa.

Di fatto, Landini ripercorre oggi le orme di Sergio Cofferati che il 23 marzo 2002 portò milioni di operai al Circo Massimo al culmine di una vertenza tutta politica col governo. La differenza è che Cofferati, con tutta evidenza, puntava allora a conquistare con quella manifestazione la segreteria dei Democratici di Sinistra, tanto che, fatto inaudito per la tradizione sindacale, si fece costruire un palco molto alto in cui si presentò da solo, non attorniato da tutti i dirigenti delle federazioni come era ovvia consuetudine. Obbiettivo comunque mancato.

Landini invece ritiene oggi che il proprio protagonismo politico non passi affatto per una conquista della leadership di un Partito Democratico in palese confusione, tanto più sotto la guida di Enrico Letta, ma per l’assunzione di un ruolo tutto politico del sindacato. È questa una concezione egemonica della contrattazione: il governo deve ubbidire alla Cgil e scrivere la manovra finanziaria sotto dettatura. L’opposto della concezione di Mario Draghi che pure ha ridato spazio alla contrattazione sindacale dopo che il governo di Matteo Renzi l’aveva di fatto svuotata di contenuto e quelli di Paolo Gentiloni e di Giuseppe Conte l’avevano subita mercanteggiando. 

Il tutto, si badi bene, di fronte all’imbarazzato silenzio di Enrico Letta, che non ha saputo prendere posizione né contro né a favore di Landini.

Di fatto, questo sciopero generale estremizza il quadro politico, lo destabilizza ed evidenzia come la crisi della sinistra, la sua incapacità di guardare al centro, dia spazio ad avventuriste spinte radicali. 

Inconcludenti e sterili.

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